Biografico, Drammatico, Streaming

IL CASO MINAMATA

Titolo OriginaleMinamata
NazioneUSA
Anno Produzione2020
Durata115'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

L’ultimo grande reportage di Eugene Smith, fotografo ed uomo in disarmo, a cui nel 1971 venne chiesto di dare supporto e visibilità alla denuncia di una situazione di avvelenamento da mercurio a Minamata, in Giappone.

RECENSIONI

Tratto da una storia vera, che vide in un ruolo determinante il fotografo Eugene Smith, Il caso Minamata è un film che si veste a metà da biografia fortemente intimista, a metà da pellicola di denuncia su inquinamento industriale e relative vite distrutte. Nel filone, il titolo più recente è stato Acque amare, quello più pop e di successo Erin Brockovich, che valse l’Oscar a Julia Roberts e assurse a modello.
Si comincia con un prologo molto simbolico ed immediato a New York, nella luce rossa di una camera oscura dove, una dopo l’altra, prendono vita e si svelano le fotografie. E la fotografia riveste un ruolo centrale all’interno del film, non meno della materia di feroce indignazione.
Eugene Smith è un personaggio reale ed un protagonista ampiamente vivisezionato nel corso della pellicola. Appare alla deriva sotto ogni punto di vista, in rotta con i figli, decadente, demotivato, determinato a smettere di fare il fotografo, in bolletta, tanto che ha venduto la sua attrezzatura. Il fatto che ad interpretarlo sia Johnny Depp non può che innescare una sovrapposizione tra le due figure, una partigianeria bonaria, quasi un pizzico di tifoseria per la salvezza ed il riscatto di entrambi.
Depp-Eugene, che cammina per strada bevendo, è un uomo che ammette di non essere più divertente, di non riuscire più a vedere nel modo giusto per fare fotografie, di aver deluso gli altri e se stesso. Non “sente più la musica”. regala la sua macchina fotografica ad un ragazzo che, a differenza di lui, ha l’entusiasmo ingenuo ed immediato del bambino e comincia a scattare. Parafrasando i nativi americani, Smith dice che una fotografia può prendersi un pezzo dell’anima del fotografo, spezzargli il cuore. Una frase fatta, buttata lì intenzionalmente, senza che lo spettatore sappia nulla del passato e del percorso dell’uomo. Appare però chiaro che è solo, come dimostra la conversazione con il ragazzo che non capisce una parola della sua lingua, e lui lo sa, ma ha voglia di parlare.
Tutta la descrizione del protagonista, per quanto ce lo renda simpatico, procede sempre sul limite: alcuni dialoghi sono decisamente didascalici (“Sbaglia, è l’unico modo per imparare”); il film è invece più efficace quando fa parlare le immagini. Stesso discorso per la figura imperscrutabile dell’imprenditore responsabile degli scarichi assassini, sul cui volto indugia spesso la telecamera, salvo poi affidargli battute che rivelano soltanto la logica più cinica, da uomo d’affari, pronto a corrompere senza giri di parole, sfruttando anche il senso del dovere verso i figli.

Nell’affrontare il tema sociale - una compagnia ha scaricato per anni le sue scorie facendo ammalare gli abitanti della zona, che per avere giustizia hanno bisogno dell’attenzione mediatica, quindi delle foto di Eugene - Andrew Levitas sceglie un approccio abbastanza scolastico e prevedibile, sebbene corretto nell’alternanza tra ritmo e sospensione, tra descrizione del contesto ed esplosioni emotive.
In questo quadro si inserisce con fin troppa facilità la sfida allo stanco fotografo, quello che delude sempre le persone - lo farà anche con le vittime di Minamata? Lo spettatore capisce subito che non sarà così. A Minamata Eugene fotografa persone che non vogliono essere fotografate, alcune arrese e rassegnate, altre che invece vogliono fare più rumore possibile per avere giustizia. La sequenza delle fotografie all’ospedale - è evidente la necessità di mostrare gli effetti concreti sulle persone, di generare empatia - l’ispezione alla fabbrica, l’incendio doloso e la violenta aggressione, la battaglia della popolazione, fatta di negazione e soprusi (compreso l’inganno delle firme): tanta parte della pellicola chiama al coinvolgimento immediato, ma lo stile giustifica gran parte dei passaggi. L’armonia tra storia privata e storia di denuncia viene quasi sempre mantenuto.
Il caso Minamata è infatti anche, o soprattutto, il racconto di un risveglio della coscienza, che avviene nell’esperienza diretta, tra le persone. Mostrato un po’ grossolanamente in alcuni punti (ad esempio quando il protagonista rifiuta il denaro dell’imprenditore che vorrebbe corromperlo, con un linguaggio ostentatamente spiccio, la reazione svelata pretestuosamente in due momenti differenti). Con tocco più delicato in altre sequenze, come quella in cui Eugene non vorrebbe accudire da solo la bambina malata, ma poi lo fa nel migliore dei modi - da lì nascerà la celebre foto “Il bagno di Tomoko”.
Il risultato complessivo, per un materiale ad alto rischio ricattatorio, vale almeno la sufficienza.