TRAMA
Per far passare nel loro territorio un convoglio di coloni, l’ex “cacciatore di indiani” Johnny Hawks si adopera per un trattato di pace con gli indiani. Ma due civili bianchi, in cerca d’oro in territorio Sioux, rovinano tutto.
RECENSIONI
Se L’Amante Indiana, nel 1950, aprì la strada per una rivalutazione “mainstream” e nel genere degli “indiani cattivi”, quest’opera di De Toth, sottovalutato regista (anche) di western anticonvenzionali, è uno dei più feroci attacchi alla razza bianca posto in essere da Hollywood. Nella sceneggiatura di Frank Davis e del grande Ben Hect abbondano risvolti gustosi e particolari significativi: il "cacciatore di indiani” del titolo italiano (in quello originale si vuole solo indicare un uomo che li combatte/va) è un Kirk Douglas che pare accettare l’epiteto per convivere con i bianchi, dopo tante frequentazioni degli avversari che rispetta. Fatto sta che né i due avidi e viscidi cacciatori d’oro (fra cui Walter Matthau) né il bambino che lo mitizza come eroe potrebbero mai concepirlo quale “amico degli indiani”, e questa differente percezione crea, all’inizio, un’intrigante ambiguità sulla sua reale natura. In seguito, è fin troppo chiaro chi siano i veri “selvaggi” nel gestire le situazioni, i veri guerrafondai cullati nell’ignoranza, i veri razzisti gettati nel panico dalla fobia del diverso, gli unici con un sistema di giustizia iniquo che legittima la demonizzazione, gli unici con l’arroganza etnocentrica di portare la civilizzazione in un luogo e fra genti perfetti così come sono, selvaggi e incontaminati, da “conquistare” come fa, con insolita violenza, Kirk Douglas con la sua bella nativa (Elsa Martinelli all’esordio, nuda fra le acque del fiume, sensuale come il technicolor). Il finale non ha il coraggio dell’amarezza (e della realtà), preferendo dipingere un artificioso e ottimistico scenario futuro di pace e amore interrazziale, quando lo spettatore è ancora frastornato dal disgusto provato nei confronti dei bianchi. E non c’è catarsi nell’amarezza di una chiusura meno lieta. Ma regista e sceneggiatori, se non altro, suggeriscono che gli indiani, finalmente dediti a tecniche di guerra sagaci e non abbattuti come birilli, avrebbero potuto compiere un massacro, se meno magnanimi. C’è anche spazio per una presunta nota biografica: c’è un personaggio di fotografo, in prima linea nelle battaglie, che potrebbe essere l’alter ego di De Toth, operatore in Polonia durante l’invasione nazista.
