Baro-metro

Il Baro-metro: sguardi dalla sala (10/2012)

“Incassi”, “box-office”, “media per sala”, termini che il più delle volte il cinefilo rifiuta perché inutili per la comprensione di un’opera cinematografica. È vero, non sono certo i milioni di euro incassati o il disastro al botteghino a determinare il giudizio critico su un film, e nemmeno i tanti numeri che stanno in mezzo a questi due estremi. I termini di valutazione vedono intrecciarsi sia parametri oggettivi, legati alla grammatica del linguaggio prescelto, che la soggettività, intesa come gusto personale maturato nel corso degli anni, e delle proiezioni, uniti a quel pizzico di irrazionalità non sempre riconducibile a un aggettivo. Nessuno intende quindi spingersi in questa sede verso arditi, quanto poco fondati, parallelismi tra algebra degli incassi e qualità, però può essere interessante analizzare, e tentare di capire e interpretare, la risposta del pubblico che, di sicuro, non ha sempre ragione, ma che non bisogna nemmeno tacciare sempre e comunque di superficialità. Anche perché, e spesso c’è chi lo dimentica, il critico è prima di tutto uno spettatore.

Ci sono film che incassano unicamente grazie alla forza del marketing; altri che proprio a causa di una promozione sbagliata non riescono ad aprirsi un varco nell’attenzione degli spettatori; altri ancora che crescono inaspettatamente in virtù del passaparola; opere, poi, che invece nessuno vede perché nelle sale proprio non arrivano. Non è quindi così banale cercare di capire cosa ha funzionato e cosa invece decisamente no nel proporsi al pubblico. Perché, comunque la si giri, fino a quando un film non trova occhi disponibili, resta una promessa, sonnecchia nel limbo delle possibilità, non vive. La vita di un film è quindi strettamente connessa alla sua diffusione.

Uno dei grandi problemi relativi alla possibilità di poter godere di un film al cinema è perciò quello della distribuzione. Siamo abituati ad aprire il giornale, dare un’occhiata ai tamburini e scegliere tra i film proposti (per chi ne ha la possibilità e vive in una città, nei piccoli centri, invece, le alternative sono pochine). Molti, soprattutto i più giovani, optano per una scelta in loco, nel multiplex più vicino. Ma come fanno quei titoli a essere proiettati proprio in quella sala? O, meglio, perché proprio quelli e non altri? Siamo nelle mani di qualcuno che ha scelto ciò che possiamo vedere. Con l’avvento di internet i confini si sono smussati, perché ciò che non arriva in sala uno può provare a procurarselo, ma l’assenza di una regolamentazione in materia rende lo scarico per lo più illegale, quando invece diventa necessario nel caso in cui sia l’unica strada per garantire la visione.

Spesso i listini delle società di distribuzione, quanto mai suscettibili di variazioni, derivano da lotte spietate e all’ultimo sangue per sbaragliare la concorrenza e ottenere sale e giorni di calendario strategici. Lotte che hanno poco a che vedere con il valore di un film, ma che puntano a garantire il massimo risultato possibile in termini economici. Del resto è più che comprensibile. Una qualunque attività commerciale persegue l’utile. Il fatto è che parlando di opere d’ingegno diventa tutto più complicato perché si vorrebbe, illusoriamente, che venissero premiati i film che piacciono. Ma ovviamente questi sono pensieri che colgono chi i film li va a vedere, mentre chi si ritrova tra le mani un film, su quel titolo deve anche campare. E spesso punti di vista poco empatici lo dimenticano. Alcuni casi sono comunque eclatanti e hanno fatto parlare molto nell’ultima stagione. Pensiamo a Prometheus, uscito in tutto il mondo in giugno, da noi previsto inizialmente per ottobre e solo successivamente anticipato a settembre. Siamo sicuri che la 20th Century Fox ci abbia guadagnato facendo uscire il film di Ridley Scott quando chi lo voleva vedere ha avuto tutto il tempo per scaricarlo? La sensazione è che un’uscita in linea con gli altri mercati, considerando anche l’assenza di concorrenza (giugno è stato quanto mai piatto), avrebbe potuto giovare al film. Anche intorno a Reality di Matteo Garrone si sono accese le polemiche perché, dopo la vittoria a Cannes, si sperava di poterlo vedere subito nelle sale, ma la 01 Distribution ha scelto di farlo uscire a fine settembre. Ha fatto bene? Ha fatto male? A posteriori è facile parlare, ma non è così semplice impostare delle strategie se ci si mette dalla parte di un distributore. Il film ha avuto un debutto piuttosto fiacco a stagione ormai avviata. Avrebbe potuto fare meglio a maggio? Ne siamo sicuri? E se l’uscita fosse stata pianificata ma il film non avesse vinto nulla?

Con la digitalizzazione delle sale, prevista entro la fine del 2014, tutto dovrebbe cambiare, e in modo irreversibile. A goderne saranno la qualità della visione, la diversificazione dell’offerta (non solo cinema ma eventi di ogni tipo) e un risparmio sui costi (nessun riversamento su pellicola, spese di trasporto azzerate, razionalizzazione degli spazi). A soffrirne ancora una volta saranno i più piccoli, non in grado di affrontare i costi necessari (si parla di cifre tra i 60 e i 70 mila euro), soprattutto in assenza di una normativa per incentivare e favorire lo storico passaggio. Cosa invece avvenuta nei paesi dove il processo di cambiamento è quasi completo (Norvegia, Belgio e Lussemburgo dovrebbero essere a regime tra breve), o comunque ben avviato (Francia e Gran Bretagna, con più della metà delle sale già digitalizzate). Il rischio concreto è che sopravvivano solo i multiplex, gran parte dei quali anche in Italia già digitalizzati, mentre la scomparsa delle monosale, dei cinema parrocchiali., delle arene estive, incapaci di ammortizzare le spese, è più di un’ipotesi. Pazienza diranno i più, mentre la perdita di sale storiche cittadine comporterebbe l’ulteriore deperimento culturale dei centri storici, sempre più ostaggio di gruppi bancari e negozi di telefonia. Ma anche i numeri ne risentirebbero. Non quelli grandi ovviamente, ma quelli che derivano da quel pubblico, in genere anziano, ma non solo, che si muove a piedi o con i mezzi pubblici e in una multisala periferica non ha mai messo piede.

Attualmente le parole d’ordine quando si parla di distribuzione sembrano essere essenzialmente due: visibilità (avere il maggior numero di schermi a disposizione) e marketing (quindi l’efficienza della macchina promozionale). Ovvio che un piccolo film presentato a un festival non può invadere la penisola senza il necessario supporto di informazione. Perché se pochi vanno a vedere un film con Tom Cruise che è stato pubblicizzato in tutto il mondo (emblematico il flop globale di Rock of Ages), figuriamoci cosa può accadere a un’opera non americana, senza attori famosi e di cui nessuno ha mai sentito parlare.

La durata media commerciale di un film è, salvo le dovute eccezioni, di circa tre settimane. L’anno scorso Quasi Amici, tipico esempio di film cresciuto con il passaparola, è stato in classifica per mesi, ma è un caso abbastanza isolato. Logicamente, per ottenere incassi dignitosi in un lasso di tempo così limitato, occorre essere presenti sul territorio in modo capillare e avere una macchina promozionale efficiente. Ecco quindi perché anche film dall’appeal non eccezionale escono in un numero notevole di copie. Il timore è di non lasciare traccia incassando poco. Se invece si ha modo di farsi notare c’è sicuramente maggiore possibilità di scalfire la dura corazza d indifferenza dello spettatore, soggetto a mille sollecitazione e per forza di cose in grado di coglierne solo alcune. Se queste siano le migliori o semplicemente le più potenti è lasciato alla soggettività del lettore. In ogni caso non è utile all’interpretazione, anche critica, di un’opera pensare che tutto ciò che è pubblicizzato sia di infima qualità e che solo ciò che è negato sia degno di visione. In mezzo ci sta la propria capacità di discernere che va comunque rispettata.

Parlando di successi e di flop al botteghino si fa riferimento ad alcuni valori medi considerando, ovviamente, i costi di produzione e distribuzione. Occorre tenere presente che dall’incasso globale di un film bisogna decurtarne circa la metà che è quanto va all’esercente. Senza scendere troppo nel dettaglio delle voci spesa, un film per rientrare dei costi deve incassare circa il doppio di quanto è costato. Ecco quindi piccoli film che a fronte di budget modesti possono essere considerati successi e megaproduzioni dalle elevate aspettative commerciali che nonostante numeri oggettivamente importanti sono da ritenersi flop. È un successo Chronicle, costato 12 milioni di dollari che ha incassato worldwide dieci volte tanto, è considerato un flop John Carter, che a fronte di un budget di 250 milioni di dollari ha incassato “soltanto” 282 milioni. Diciamo che in genere per un film hollywoodiano i 100 milioni di dollari in patria sono la soglia per accedere all’appellativo “successo”, anche perché con ottime credenziali per ottenere analogo riscontro sul ben più remunerativo mercato dei dvd. Per l’Italia, invece, in cui, come noto, non esiste un’industria ma prevale l’irrazionalità e dove i film devono rientrare dei costi contando per lo più sul mercato interno, i termini sono ovviamente differenti. Un incasso di un milione di euro è sintomatico di una discreta risposta del pubblico, apre le porte alle pay-tv, a un buon risultato nell’home video, a sbocchi nei palinsesti televisivi. Sugli acquisti delle reti generaliste si potrebbe aprire un dibattito, in quanto molti film non sono acquistati (soprattutto quelli italiani), altrettanti vengono acquistati ma poi non trasmessi, e alla fine tocca vedere per la centocinquantesima volta la replica di Pretty Woman.

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I PREZZI

Non esiste univocità nei prezzi applicati. Prendendo ad esempio il circuito THE SPACE, con diffusione capillare in tutta Italia, si va dai 7 euro della Sardegna agli 8,50 euro di Milano, con differenze più consistenti sulla giornata a prezzo ridotto, che vanno dai 4,50 euro della Sardegna ai 6,70 euro di Milano. Diverso il divario in relazione al 3D, un modo per far accettare allo spettatore aumenti di prezzo dando l’illusione di un valore aggiunto non sempre presente. Si vai dai 12 euro di Bologna ai 9,50 euro di Sestu, in Sardegna. Ma il vero salasso è per i ridotti: 10 euro a Bologna e 8 in Sardegna. Ora la domanda è: può una famiglia di quattro persone (ipotizziamo due adulti e due bambini) spendere 44 euro per andare al cinema? Può un bambino di cinque anni spendere 10 euro per vedere un cartone? Sarà un caso che il pubblico prediliga la proiezione 2D rispetto al 3D? Sarà che alcuni film riversati malamente in 3D e non previsti in 3D nativo (Scontro tra Titani, ma anche Alice in Wonderland e tanti altri), abbiano creato una disaffezione nel pubblico che si è sentito ingannato? Sarà, forse, anche per questo che quando un film esce ora è pubblicizzato “anche in 3D” mentre nell’euforia del post “Avatar” era pubblicizzato “anche in 2D”?

Sembra che così come è cambiato in tutta Italia il giorno delle nuove uscite (dal venerdì al giovedì, notoriamente il giorno della settimana con i minori incassi), verrà uniformato anche il giorno del prezzo scontato, in modo da rendere più mirate e funzionali eventuali campagne promozionali. Per adesso, dopo il primo week-end di sperimentazione di inizio ottobre, il cambio del giovedì ha funzionato: aumento sia del pubblico (+ 37%) che degli incassi (+60%) rispetto alla settimana precedente, ma anche allo stesso giovedì del 2011: +39% di biglietti venduti, +65% di incassi.

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ESTATE

 L’estate è stata un vero dramma, con un’assenza di prodotto e di spettatori davvero preoccupanti. Si parla di un calo rispetto al 2011 pari al 33%. Il problema è che non sarà semplice recuperare le percentuali perdute, perché per fare entrare gli spettatori nelle sale in giornate di sole splendente c’è voluto molto tempo, e anche il coraggio di rischiare di alcune case di distribuzione, mentre per perdere l’abitudine è bastata una sola estate con un’offerta scarsa. Gli unici due titoli con numeri importanti sono stati The Amazing Spiderman e Biancaneve e il cacciatore, usciti in luglio, che in assenza di concorrenza hanno avuto lunghe teniture e forse fatto meglio che con date pianificate in altri periodi, sulla carta più remunerativi. In pratica si è ritornati a  15 anni fa, quando nonostante gli appelli (chi si ricorda il tormentone “Il cinema non va in vacanza, va’ in vacanza al cinema”?) le sale chiudevano per ferie. Il fatto è che è cambiato anche il parco sale: sempre meno le monosale cittadine e sempre più i multiplex periferici. Se ancora oggi sono pochi gli esercenti di monosale che danno continuità alla programmazione per tutto l’anno, multisale e multiplex restano invece aperti per 365 giorni all’anno e l’assenza di materia prima si fa sentire con esiti disastrosi. Certo, se nei periodi di magra si attuasse una politica di riduzione del biglietto, magari pubblicizzata in modo chiaro (non con sconti applicati tutti i giorni tranne quando ci vai tu!!!), forse qualche spettatore in più si potrebbe attirare. E poi, perché nella promozione non puntare sull’aria condizionata in grado di alleviare dalla canicola estiva? Se ci è riuscita la Spagna, in cui il remake iberico di Ho voglia di te (Tengo Ganas De Ti) è risultato a fine giugno uno dei migliori debutti della stagione (3 milioni 814 mila dollari), perché non dovremmo riuscirci noi, con un clima e un mercato non così dissimili?

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LA CLASSIFICA

Proviamo quindi a capire, partendo da questo primo scorcio di stagione, dove il pubblico sta andando e se esiste un’effettiva corrispondenza di intenti (vendere un prodotto a chi lo sta cercando) che trova concretezza nel buio di una sala cinematografica. Inutile sottolineare come questa indagine sottintenda un amore viscerale per la Settima Arte e per il suo canale finora primario (la sala, appunto) destinato a mutare per seguire la tendenza sempre più consolidata di spostare il luogo di consumo dei film. C’è infatti chi vede il futuro nel salotto di casa, sul video di un pc o nello schermo di un tablet o di un videofonino, con un progressivo restringimento del prodotto “cinema” verso la fruizione domestica e solitaria. L’unica consolazione, grama considerando l’inestimabile valore aggiunto dato dalla visione collettiva (una massa pulsante, tanti occhi e cuori, un unico, grande, schermo ad accomunare una pluralità disomogenea), è che se è vero che la sala potrebbe scomparire, o restare come fenomeno di nicchia, oppure destinata unicamente alle opere spettacolari, i film continueranno comunque a esistere. Perché, ed è la Storia a insegnarcelo, la natura umana ha bisogno di storie in cui perdersi, con cui confrontarsi e attraverso cui sognare. Il viaggio, quindi, si preannuncia ancora lungo…

Per l’analisi in corso ci fermiamo al 30 settembre 2012, data con cui si chiudono ufficialmente il terzo trimestre dell’anno e il primo scorcio (due mesi) della nuova stagione cinematografica 2012/2013 che, come noto, comincia in agosto e si concluderà a luglio dell’anno successivo.

POSIZIONE

TITOLO

NAZIONALITA’

INCASSO

1

MADAGASCAR 3 – RICERCATI IN EUROPA

USA

€ 21.503.835

2

IL CAVALIERE OSCURO – IL RITORNO

USA

€ 14.459.336

3

RIBELLE – THE BRAVE

USA

€ 6.716.156

4

L’ERA GLACIALE 4: CONTINENTI ALLA DERIVA

USA

€ 5.600.571

5

I MERCENARI 2

USA

€ 5.460.229

6

PROMETHEUS

USA

€ 4.735.378

7

MAGIC MIKE

USA

€ 3.011.161

8

THE BOURNE LEGACY

USA

€ 1.799.310

9

SHARK

AUS

€ 1.513.470

10

CHE COSA ASPETTARSI QUANDO SI ASPETTA

USA

€ 1.223.439

Dopo week-end afosi e deserti dove il primo incasso della settimana (in assenza di alternative Biancaneve e il cacciatore) raggranellava 178 mila euro in 250 sale e con 20 mila euro si entrava in classifica, la stagione è rimontata grazie a I mercenari 2 e, soprattutto, a Madagascar 3 – ricercarti in Europa, che nonostante giornate ancora molto calde ha macinato un milione di euro al giorno nei primi dieci giorni di programmazione, battendo anche Il cavaliere oscuro – il ritorno a fine agosto, costretto a debuttare in seconda posizione dietro ai beniamini della Dreamworks. Si può dire che il rilancio della stagione è stato appannaggio dell’animazione. Dopo Madagascar, è stata infatti la volta di Ribelle – The Brave, nelle sale dal 5 settembre, penalizzato dal fatto di proporre un personaggio nuovo (peraltro non irresistibile), quindi non ancora sedimentato nell’immaginario, e schiacciato tra il colosso della Dreamworks e L’era glaciale 4 – continenti alla deriva, in 858 sale dal 28 settembre. Si tratta, finora, del minore incasso per un film Pixar, posizione in precedenza detenuta da Wall-E con 8 milioni 713 mila euro. Sottotono, però, almeno in parte, anche la famiglia preistorica allargata della Blue Sky, perché la partenza della quarta puntata è stata piuttosto moscia (il venerdì del debutto solo 587.000 di euro), con una forte ripresa solo nel week-end (nella  giornata di domenica 30 settembre ben 2 milioni 953 mila euro), e difficilmente il film raggiungerà i quasi 30 milioni di euro del terzo capitolo. Bisogna poi anche sottolineare, e probabilmente sul passaparola qualche influenza ce l’ha, che il film è particolarmente brutto e gioca al ribasso, vivendo più che altro di rendita. Inspiegabile, tra l’altro, la scelta di far doppiare il Mammuth Manny da Filippo Timi (che ha sostituito l’efficace Leo Gullotta), dopo che aveva già rovinato Bane, il cattivo de Il cavaliere oscuro – il ritorno. Ma il film di Christopher Nolan non ne ha risentito, infatti il capitolo conclusivo della trilogia è andato bene, meglio della seconda puntata uscita nel luglio del 2008 e fermatasi a 9 milioni 479 mila euro. Da notare che in Italia, a livello di spettatori, Il cavaliere oscuro – il ritorno ha battuto anche The Avengers, che ha però beneficiato di incassi maggiori a causa del sovrapprezzo per il 3D. Superiore al capitolo precedente anche I mercenari 2, grazie principalmente all’assenza di concorrenza (è uscito nel vuoto estivo il 17 agosto), ma anche al ritorno di Arnold Schwarzenegger, all’inserimento di Bruce Willis e Chuck Norris e alla chiarezza con cui le promesse (battutacce, revival truzzo e testosterone) sono state mantenute. Da notare, guardando le prime dieci posizioni del periodo, la forte presenza di sequel o prequel. Al riguardo, buono il riscontro per Prometheus (probabilmente uscendo in giugno, come nel resto del mondo, avrebbe potuto fare meglio, ma dato il pasticcio che è difficilmente il passaparola lo avrebbe comunque premiato), e invece mediocre per The Bourne Legacy, il primo Jason Bourne senza Matt Damon che in Italia ha incassato un terzo rispetto alla terza puntata The Bourne Ultimatum, la più redditizia in tutto il mondo (443 milioni di dollari). Per il resto, ottima la partenza per Magic Mike, ma il film di Steven Soderbergh si è sgonfiato in fretta, discreto il successo di Shark e in linea con il resto del mondo la debole attenzione alla commedia Cosa aspettarsi quando si aspetta (che comunque worldwide con i suoi quasi 84 milioni di dollari ha già doppiato il budget), destinato a uscire immediatamente dalla classifica nonostante il cast al star (Jennifer Lopez e Cameron Diaz in primis).

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FESTIVAL DI VENEZIA

 

Ormai è un dato di fatto: il festival non fa bene agli incassi. Tutti i film presentati a Venezia e usciti nelle sale hanno ottenuto risultati deludenti. Unica eccezione Shark, grazie anche al sovrapprezzo per il 3D, ma è difficile che chi ha deciso di vedere il film di Kimble Rendall lo abbia fatto sull’onda delle recensioni, pur discrete, ottenute al Lido. Se per È stato il figlio (642 mila 285 euro complessivi in un massimo di 112 sale) e Un giorno speciale (debutto in 13esima posizione con 114 mila euro in 75 sale) l’entusiasmo dichiarato alle conferenze stampa è subito parso eccessivo, colpisce di più il rifiuto nei confronti di Marco Bellocchio, che ha superato di poco il milione di euro nonostante se ne sia parlato ovunque. Forse la sovraesposizione mediatica anziché favorire Bella addormentata ha finito per penalizzarlo, dando a tutti la sensazione di averlo già visto nonostante chi ne ha parlato, sia bene che male, lo abbia fatto più per ciò che il film rappresenta che per ciò che effettivamente è. Un tipico caso di strumentalizzazione che ha danneggiato il film. Tra l’altro le polemiche sono cominciate prima che il film fosse finito e ci si domanda come sia  possibile giudicare un film prima di averlo visto. Peccato, perché si tratta di un’opera che smuove contenuti importanti non disdegnando il cinema e avrebbe meritato di più. Non buono anche il riscontro per il vincitore del Leone d’Oro Pietà di Kim Ki-duk, con un totale di  413 mila 621 euro in 58 sale. Hanno fatto meglio Ferro 3 – La casa vuota (945 mila euro), ma anche Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (612 mila euro) Ma per capire l’entità dell’insuccesso, basta pensare che un film ostico e svuotasale come il precedente Leone d’Oro (Faust) aveva incassato 453 mila 470 euro ed era uscito in molte meno sale rispetto a Pietà.

Il fallimento di Venezia come vetrina apre alcune considerazioni. Intanto, il fatto che sui giornali si parla di Venezia solo quando c’è la superstar di turno o aria di scandalo (e quest’anno, nonostante la buona edizione, non c’erano né l’uno né l’altra). Ma è l’informazione a svuotarsi di contenuto per inseguire i gusti del pubblico o è il pubblico che cerca solo il lato scandalistico di ogni evento? Difficile capirlo. Sta di fatto che dei film in cartellone al festival si è parlato solo per le conseguenze più deteriori. Un esempio è un’opera non imperdibile ma solida come The Company You Keep di Robert Redford. La passerella del suo film ha fatto il giro del mondo non per la presenza di Redford, un pezzo di storia del cinema, tra l’altro per la prima volta a Venezia, ma unicamente per il bacio tra Joséphine de La Baume e Roxane Mesquida, protagoniste del trascurabile Kiss of the Damned, debutto alla regia di Xan Cassavetes. Ottima promozione per un film che non vedrà nessuno e che i pochi spettatori attirati dal cotè lesbo malediranno per la totale mancanza di attinenza rispetto al film, in cui le due protagoniste sono sorelle, non hanno alcuna attrazione l’una per l’altra e, anzi, non si sopportano proprio.

Pessimi i risultati degli altri titoli veneziani distribuiti: Gli equilibristi, uscito in 80 sale, dopo tre settimane è fermo a 267 mila euro, L’intervallo, nei cinema in contemporanea con il festival in 22 copie, in quattro settimane non raggiunge i 100 mila euro. Del primo la critica ne ha parlato poco e senza entusiasmi, per il secondo sono volati superlativi un tantino esagerati.

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ITALIA

Tolti i film presentati a Venezia, pochi e deboli gli italiani che si sono affacciati nelle sale:- Il rosso e il blu, di Giuseppe Piccioni, film dall’appeal non eccelso, che fatica a raggiungere il milione di euro nonostante la carineria del trailer, un cast solido (Margherita Buy, Riccardo Scamarcio) e un numero di copie rilevante (136 che aumentano a 145 nella seconda settimana dopo la buona media per sala di 2.603 euro del debutto)

– deludente anche Reality di Matteo Garrone, per cui si è a lungo dibattuto per la mancata uscita in maggio a ridosso della vittoria del Gran Prix della Giuria al festival di Cannes; il rischio di bruciarlo nel solleone c’era ma, stranamente, anche a fine settembre il film, nonostante un’uscita generosa in 367 sale, non ha raggiunto i numeri sperati (debutto al 4° posto con 665 mila euro), ma alla seconda settimana scende solo del 27%; probabilmente il passaparola lo aiuterà a correggere il tiro, ma difficilmente si avvicinerà anche solo alla metà dei risultati di Gomorra (10 milioni 187 mila euro).

– anche il debutto alla regia di Maurizio Casagrande con Una donna per la vita ambiva a numeri importanti, ma esordisce in 174 sale fuori dalla top-ten settimanale con 163 mila euro e una media per sala poco incoraggiante (939 euro)

– uscita in poche sale (28) per Appartamento ad Atene di Ruggero Dipaola, presentato in 51 festival e vincitore di 27 premi, debole la media per sala (1.245 euro)

– negativo il riscontro per Come non detto, commedia gaya di Ivan Silvestrin a tema fin troppo usurato (il coming out del protagonista) che la Moviemax distribuisce con entusiasmo (120 copie) ma risultanti deludenti (772 euro di media per sala nel week-end di debutto)

– nel primo week-end di settembre i numeri nelle retrovie sono talmente bassi che Impepata di nozze – sposarsi al Sud è tutta un’altra storia, di Angelo Antonucci, raggiunge la 12esima posizione con 9.360 euro, ma alla settimana successiva il successo regionale si sgonfia e il film è già al 25° posto con 6 sale e un incasso di 2.093 euro.

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CONSIDERAZIONI

Se si leggono i proclami ufficiali, la ripartenza della stagione ha segno positivo. Non si riesce a colmare il segno meno (che accorcia le distanze sul 2011 raggiungendo il 13,2% in meno sugli incassi e l’11,1% in meno sulle presenze), ma un +37% di presenze e addirittura un +40% sugli incassi nel mese di settembre rispetto al 2011 sono miglioramenti oggettivi. Ciò che colpisce è il vuoto dopo i film acchiappa pubblico. Sembra che manchi l’effetto contagio, non c’è alcun traino per i film commercialmente meno forti. Una disaffezione che potrebbe essere sintomo di un allontanamento del pubblico che si riteneva più fidelizzato, quello delle sale d’essai dei centri storici. Un po’ perché trattasi di pubblico con poco ricambio generazionale, un po’ perché sono sempre di più le monosale cittadine che chiudono i battenti. Multiplex e multisale difficilmente osano una programmazione di nicchia e quando lo fanno si è riscontrato che ottengono numeri inferiori rispetto alle monosale. Allerta, quindi, per i film dal minore impatto commerciale. Forse è presto per determinare un trend, occorre vedere quali saranno gli sviluppi e lo faremo.

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SCRIVETE

Per dire la vostra, raccontare esperienze cinematografiche, casi vissuti nelle sale in prima persona, lamentele, speranze, ipotesi di futuro, sia che voi siate spettatori, oppure distributori, o esercenti, o qualunque ruolo ricopriate, scrivete a:LUCA BARONCINI

Le vostre parole saranno di spunto per i prossimi sguardi dalla sala…