Baro-metro

Il Baro-metro: sguardi dalla sala (07/2016) – 2

FLOP

Sezione più che mai fluttuante. Ci sono infatti titoli che globalmente hanno deluso le aspettative, mentre nel nostro paese se la sono cavata piuttosto bene, e altri che in Italia nessuno ha visto mentre a livello planetario, o nel territorio di origine, sono riusciti a rientrare ampiamente dei costi. Tra i primi figura di sicuro Alice attraverso lo specchio che per essere valutato correttamente deve essere paragonato con il suo predecessore, cioè con il tanto criticato, ma moltissimo visto, Alice in Wonderland di Tim Burton. Parliamo infatti di un incasso globale stratosferico, pari a 1.025 milioni di dollari, che ha dato il via all’idea, commercialmente molto astuta, di rivisitare in live-action i classici a cartoni animati. Era però l’anno di Avatar, che aveva illuso esercenti, distributori e pubblico che il rinato 3D regalasse a tutti meraviglie, e invece Alice in Wonderland fu uno dei primi titoli a deludere in questo senso, in quanto non in 3D nativo ma girato con tecnica tradizionale e convertito in 3D solo durante la post-produzione. Al di là dei numeri, però, e considerando il basso gradimento del film di Burton (IMDB, Rotten Tomatoes e social network sono un buon indice al riguardo), una flessione per il sequel era nell’aria, ma alla Disney devono avere pensato che se anche il film di James Bobin avesse incassato la metà del capostipite sarebbe stato comunque un grande successo. Invece l’incasso è stato molto inferiore alle lecite aspettative: 292 milioni di dollari globali, insufficienti a ripagare il budget di 170 milioni di dollari. È stato soprattutto l’insuccesso americano a determinarne le sorti: solo 77 milioni di dollari contro i 334 milioni di Alice in Wonderland. Anche in Italia 6,4 milioni di euro tra maggio e giugno sono comunque un buon risultato. E per fortuna, anche in questo caso, che c’è la Cina, con i suoi quasi 59 milioni di dollari, sennò la situazione sarebbe stata ben più disastrosa!

Anche Warcraft, trasposizione dell’omonimo videogioco, ha un andamento dispari. In patria se lo fumano in pochi (47 milioni 225 mila dollari) mentre al di fuori dei confini americani recupera ampiamente posizioni e riesce a coprire il budget sostanzioso di 160 milioni di dollari grazie a un incasso mondiale di 433 milioni di dollari. I mercati extra-americani incidono sul totale nella misura dell’89,1% ed è unicamente grazie alla Cina se il film chiude in attivo. Sono infatti ben 220 i milioni di dollari incassati sul mercato cinese, cifra che colloca il film di Duncan Jones al terzo posto del box-office annuale cinese dietro a Zootropolis (235 milioni di dollari) e The Mermaid (526 milioni di dollari). In Italia esce nel mese peggiore dell’anno, giugno, in cui ai primi veri caldi si abbinano gli Europei di calcio, ma riesce comunque a incamerare 3 milioni e mezzo di euro. Un dato discreto, ma inferiore rispetto ad altri paesi europei: Germania (15 milioni 669 mila dollari), Francia (14 milioni 145 mila dollari), Spagna (6 milioni di dollari); ed anche extra-europei: Gran Bretagna (8 milioni 892 mila dollari), Russia (22 milioni e mezzo di dollari), Messico (5 milioni e mezzo di dollari) e Corea del Sud (8 milioni 680 mila dollari).

Anche Tartarughe Ninja – Fuori dall’ombra, sequel del reboot sulle famose tartarughe mangia pizza del 2014, non riesce a far quadrare i conti, ed evita il disastro commerciale solo grazie ai 59 milioni di dollari incassati in Cina. Ma veniamo ai numeri. Il primo episodio aveva incassato 191 milioni di dollari negli States e 302 nel resto del mondo. Un totale di 493 milioni di dollari in grado di coprire il budget dichiarato di 125 milioni di dollari e lasciare spazio a ipotesi su un possibile sequel. Incasso e gradimento, però, sono cose diverse, ne sono un chiaro segnale i voti su IMDB (5,9), Metacritic (31) e Rotten Tomatoes (la critica 22 e il pubblico 51). E ne conferma l’evidenza il risultato del sequel, perché in U.S.A. gli incassi diminuiscono vertiginosamente (81,9 milioni di dollari) e anche il resto del mondo dimezza le cifre (157 milioni di dollari). Il budget di 135 milioni di dollari è quindi ancora scoperto. Anche l’Italia segue il trend. Se il primo film nel nostro paese aveva raggiunto i 3 milioni e mezzo di euro, il secondo si ferma a 2 milioni di euro.

I film che invece sono andati male in Italia e bene altrove sono in prevalenza commedie americane, a conferma della difficoltà di esportare le risate, quanto mai radicate nel territorio di origine. Titoli come Il Boss (63 milioni di dollari negli U.S.A., neanche 100 mila euro in Italia), Una spia e mezzo (126 milioni di dollari in America, 726 mila euro da noi), Un poliziotto ancora in prova (90 milioni di dollari in patria e 167 mila euro nel nostro paese), Whiskey Tango Foxtrot (negli States 23 milioni di dollari, in Italia 62 mila euro), da noi incassano briciole mentre nel mercato nord americano si difendono più che bene.

Ci sono stati, però, anche i disertati ovunque. La foresta dei sogni, ad esempio, era stato fischiato a Cannes 2015 e la Lucky Red gli ha fatto un’ottima promozione, con un trailer accattivante e insistente, ma un prodotto debole resta comunque debole. Il film di Gus Van Sant esce in Italia a fine aprile e debutta al 7º posto del box-office settimanale con una media non eccelsa (€ 1.255) in 271 sale, ma la seconda settimana crolla in 12esima posizione con una media per sala sconfortante (€ 433), che scoraggia ogni possibilità di rialzare la testa. Nella top-20 fanno peggio solo Stonewall e La coppia dei Campioni. Alla terza settimana vaga al 30º posto in appena 18 sale. Quello italiano, di 590 mila euro, è comunque il migliore risultato internazionale, anche perché il film è stato distribuito con il contagocce e raggiungerà il mercato nordamericano solo a partire da fine agosto 2016.

Non brilla nemmeno Will Smith, che sembra avere perso il suo momento d’oro al box-office, con Zona d’ombra – Una scomoda verità, film di denuncia del piccolo (il neuropatologo nigeriano Bennet Omalu) contro il gigante (la lega di football professionistico), ma il risultato pare deludere, o comunque lasciare indifferenti (che è decisamente peggio), un po’ tutti. In pratica la critica lo stronca e il pubblico non accorre, nessuna nicchia, insomma, a sostenerlo incatenandosi davanti alle sale o sproloquiandone su internet. Scivola così senza particolari scossoni sia in U.S.A., dove, vista la tematica affrontata, avrebbe in teoria più chance (34 milioni e mezzo di dollari) che negli altri mercati (14 milioni di dollari), non riuscendo a coprire il budget di 35 milioni di dollari. Quello italiano, comunque (un milione e mezzo di euro), è uno dei migliori risultati del mondo, insieme a Spagna (un altro milione e mezzo di euro) e Messico (4 milioni e mezzo di dollari).

Tra gli altri flop del mese si segnalano :

Il traditore tipo, trasposizione del romanzo di John le Carré Il nostro traditore tipo, produzione inglese di Susanna White con Ewan McGregor, che si ferma a 9 milioni di dollari worldwide e che in Italia limita l’entusiasmo a 351 mila euro.

Eddie the Eagle – Il coraggio della follia, biografia romanzata del primo atleta britannico che arrivò a rappresentare il Regno Unito alle Olimpiadi Invernali del 1988 nella disciplina del salto con gli sci. Nonostante ingredienti sulla carta irresistibili (biopic, sport, rivincita del nerd, Hugh Jackman), ottiene un risultato dignitoso solo in Gran Bretagna (12 milioni 800 mila dollari), mentre in U.S.A., nonostante un’uscita wide in 2.044 sale, si ferma a 15 milioni 789 mila dollari. In Italia viene distribuito poco e male dalla 20th Century Fox in 75 sale, ma il debutto è pessimo (16esima posizione e media per sala di € 670) e la seconda settimana perde il 97% degli incassi, anche perché non è minimamente sostenuto, infatti resta in appena 5 schermi.

The Zero Theorem – Tutto è vanità. L’opera di Terry Gilliam, presentata al Festival di Venezia nel 2013, è stata tenuta in naftalina per tre anni per poi uscire senza alcun aggancio in piena canicola. In Italia si parla di briciole (circa 70mila euro), ma non è che altrove e in altri periodi abbia ottenuto risultati più incoraggianti. L’incasso globale è, infatti, di appena 1,2 milioni di dollari contro un budget che, a seconda delle dichiarazioni, varia dagli 8,5 ai 13,5 milioni di dollari, in ogni caso irraggiungibile. Una nicchia di sostenitori, nonostante sia fondamentalmente un film non riuscito, ce l’ha, ma probabilmente chi lo voleva vedere se lo è recuperato, in questo troppo lungo periodo di attesa, scaricandolo dalla rete.

Non funziona al botteghino nemmeno Mother’s Day, l’ultima fatica del compianto Garry Marshall, scomparso proprio a luglio 2016. Ormai specializzato in storie corali con cast all-star accomunate da una qualche festività (San Valentino per Appuntamento con l’amore e indovinate cosa per Capodanno a New York), il regista affronta questa volta la non irrinunciabile Festa della Mamma. Mediamente stroncato dalla critica, nemmeno il pubblico lo ha amato, nonostante un cast che affianca Jennifer Aniston, Kate Hudson, Julia Roberts, Jason Sudeikis e Britt Robertson. Negli Stati Uniti solo 32,5 milioni di dollari, globalmente solo 43,8 milioni di dollari. Il budget modesto di 25 milioni di dollari (di cui, si narra, 3 alla Roberts per soli 4 giorni di riprese) è ancora scoperto. In Italia ha il supporto della 01 Distribution che lo lancia in 211 schermi, ma il riscontro a fine giugno è subito men che tiepido: appena 164 mila euro e media per sala di appena € 779. Va ancora peggio alla seconda settimana, in cui, a parità di sale, la media dimezza. Resiste ancora una settimana, ma la media peggiora ulteriormente, poi esce in fretta di scena con un incasso di 410 mila euro complessivi che non coprono manco la manicure della Roberts.

Deludono anche due film sulla carta interessanti:

La produzione tedesca Colonia, che prova ad abbinare denuncia e intrattenimento, ottiene un risultato dignitoso solo in patria (quasi due milioni di dollari), mentre viene evitata più o meno ovunque. Negli Stati Uniti, nonostante la presenza di Emma Watson e Daniel Brühl, esce in soli 27 schermi ottenendo numeri irrisori. In Italia va meglio che altrove grazie alla distribuzione generosa della Good Films in 127 sale: 245 mila euro è il migliore risultato al mondo dopo quello tedesco.

Con Stonewall il regista di blockbuster Roland Emmerich realizza forse il sogno di una vita, mettendo in scena l’inizio del movimento LGBT per i diritti civili attraverso la rivolta di Stonewall del 27 giugno 1969. Un film, come ha dichiarato lo stesso regista, che è costato come i cestini per il pranzo di Indipendence Day Rigenerazione. Nonostante la buona volontà e il budget risicato, però, Stonewall lo vedono in pochi, anche perché non viene praticamente distribuito. In U.S.A. esce in appena 129 sale (188 mila dollari) e vede la luce del grande schermo solo in Austria, Germania, Singapore e Italia, ma con numeri insignificanti, per un totale di neanche 300 mila dollari. Nel nostro paese la Adler Entertainment pare credere al film, ma la distribuzione in 138 sale non è premiata dal risultato: 14esima posizione e media per sala di appena 394 euro (fa peggio solo Boldi con La coppia dei Campioni).

Escono, poi, anche due oggetti strani, poco distribuiti e poco visti: Richard Gere in versione barbone con Gli invisibili (incasso globale di 152 mila dollari) e Mississippi Grind, comedy-drama a base di poker con Ryan Reynolds e Sienna Miller per cui il risultato italiano di 130 mila euro è il migliore del mondo, anche perché quasi ovunque è uscito direttamente on demand oppure in dvd.


La prima parte del Barometro, con l’INTRODUZIONE e CANNES  la potete trovare qui.

A seguire, la terza parte del Barometro, con uno sguardo su ANIMAZIONE E FILM PER FAMIGLIE, D’ESSAI e ITALIA.