TRAMA
Un agente dell’FBI viene reclutato dalla polizia canadese per risolvere il complicato caso di un serial killer che da circa vent’anni uccide le persone per assumerne l’identità.
RECENSIONI
Cosa ci si aspetta da un thriller? Che tenga inchiodati alla poltrona, coinvolga e mantenga una certa coerenza fino alla fine. Non per forza l'originalità, quindi, ma il puro intrattenimento. Due ore di svago, intese come parentesi dalla propria vita. Una porta che si apre su altre storie in cui potersi distrarre da sè. L'ennesima variante al "genere" di D.J. Caruso centra l'obiettivo solo parzialmente e dopo una prima ora vista e stravista, ma tesa e avvincente, via via si sfilaccia fino a un finale grossolano, che rincorre il colpo di scena ma si impantana nel grottesco. La trama è sempre la stessa: un serial-killer che assume l'identità delle vittime (tra i tanti modelli anche il nostrano "Almost Blue"), la polizia canadese (siamo a Montreal) che brancola nel buio e l'arrivo di una super-agente federale americana dai metodi poco ortodossi. Tutti i passaggi obbligati del genere vengono rispettati: la successione delle vittime, la rivalità tra polizia e F.B.I., l'infittirsi dei dettagli, la falsa pista, l'inseguimento in auto, almeno un salto sulla poltrona (comunque divertente e, per una volta, non dovuto solo a effetti sonori o stacchi di montaggio) e pure la svolta erotica con tanto di amplesso ansimante. La sceneggiatura accumula indizi ma, soprattutto nella seconda parte, li risolve in modo poco plausibile, permettendo allo spettatore di capire come stanno le cose con un certo anticipo, prima comunque della protagonista (che poi tanto fine psicologa non si rivela). Ai non pochi buchi narrativi supplisce una regia che predilige toni crepuscolari ma vividi e si distingue per il gusto con cui compone ogni inquadratura (merito anche del direttore della fotografia Amir M. Mokri) e per l'ingegno con cui esce con stile da situazioni banali. Basta pensare alla bella sequenza della fuga dalla galleria d'arte, in cui i volti dei personaggi sfrecciano con raffinato dinamismo tra una folla anonima e indistinta. Purtroppo la fascinazione del male e le possibili implicazioni "nere" (aspetto, anche questo, non certo nuovo ma sempre stuzzicante) vengono accennate dallo script ma subito abbandonate, per cedere il posto a una vendetta canonica e geometricamente risolutiva. Il cast affianca una Angelina Jolie in parte ma sempre un po' "troppa" (forse la sua dimensione ideale sarebbe il cartone animato) a un credibile Ethan Hawke, mentre i comprimari Tcheky Karyo e Oliver Martinez (quest'ultimo soprattutto, con un broncio perenne) scontano una certa legnosità. Piccola parte, inoltre, per Kiefer Sutherland (alternativa costante a Kevin Bacon per i ruoli di candidato alla paranoia) e la rediviva Gena Rowlands. Philip Glass alla colonna sonora avrebbe potuto fare di più: contribuisce a creare un'atmosfera ma non produce il consueto magnetismo.