Fantastico, Giallo, Grottesco, Serie, Thriller

I SEGRETI DI TWIN PEAKS

TRAMA

RECENSIONI

Da Lumberton a Twin Peaks: l’apparenza inganna
Nella sequenza iniziale di Velluto Blu c’era già tutto Twin Peaks. La macchina da presa che penetrava il manto d’erba della villetta dei Beaumont e ne mostrava il brulicante lato nascosto, si sposta nella cittadina al confine tra Stati Uniti e Canada, continua con metodo l’indagine nei lati più oscuri della comunità americana, mette in luce i suoi indicibili segreti. Il ritrovamento sulle rive del lago del corpo di Laura Palmer diventa così il pretesto, l’orecchio mozzato attraverso cui si accede in un mondo altro, dove tutte le premesse familiari, di apparente normalità, non sono altro che il preludio di una menzogna collettiva. E’ la grande assente Laura, omonima non a caso del capolavoro noir di Otto Preminger, a scuotere Twin Peaks, a diagnosticarne la malata ipocrisia. Tutti sapevano, ma nessuno voleva accettare la vera natura di questa ambigua Lolita, e di conseguenza la propria. Ecco quindi che la sua dipartita innesca una crisi destinata a far venire a galla tutta un’altra serie di misteri, in cui niente è ciò che sembra.

In Dreams, whodunit?
Diane, 11.30 a.m., Frebruary 24th. Entering the town of Twin Peaks…
Serve lo sguardo del forestiero, dell’iperlogico e intuitivo Dale Cooper, un agente dell’FBI maniaco del controllo che registra ogni appunto alla sua (coscienza) Diane. Come Jeffrey di Velluto Blu, Coop è la figura candida, piena di curiosità e sense of wonder, che indaga un mondo buio, tanto alieno quanto riconoscibile. Lontano da ogni giudizio, pieno di fiducia per l’umanità che incontra, fin da subito si sente a casa e sposa con la sua indimenticabile ritualità di piccoli gesti lo spirito di Twin Peaks. La sua ossessione per il mistero è il motore stesso della detection che, come tradizione insegna, si struttura intorno all’indagine, allo studio dettagliato del contesto e dei suoi strambi abitanti. Siamo comunque in una creatura di David Lynch e non poteva non esserci un ruolo preponderante della mente nel suo dialogo incessante con l’inconscio e il sogno. Ecco allora che gli indizi su cui indagare traggono sempre ispirazione da una dimensione onirica, una messa in scena di indovinelli pronti a essere interpretati. Di per sé questo elemento è assai innovativo nella logica del whodunit, perché affianca al classico canone dell’indagine empirica una modalità altra, per sua stessa natura sempre aperta. Lo spettatore vuole sì, secondo le regole del genere scoprire l’assassino, ma allo stesso tempo, calato in questa affascinante visione alterata che ha inevitabilmente echi nella vita quotidiana della cittadina, si lascia cullare nella suggestione. Quello che conta, e ormai Lynch ce lo dice da cinquanta anni, è l’esperienza che trascende la sua spiegazione (pensate al mimo con la rosa blu in Fire Walk with Me o al monologo di David Bowie). Perché il mistero è molto più interessante di un verbale. Non stupiamoci dunque se Cooper si dimentica il nome dell’assassino sussurratogli all’orecchio.

Invitation to Love
Sul piano meta-testuale Twin Peaks non poteva non fare i conti con la televisione del suo tempo e prendere una posizione. Lynch e Frost giocano con il dispositivo e, nell’accogliere con divertita ironia l’immaginario della soap opera, creano uno straniante scarto verso di esso. Tutte le sue tipiche caratteristiche, dall’amore clandestino e il tradimento alla recitazione affettata con le emozioni sempre spinte all’eccesso, sono prese in prestito dalla serie e deformate per un discorso più ampio. Perché se su un piano prettamente parodico molti aspetti vengono portati al parossismo (si pensi al numero di “altarini”, quasi un record), sull’altro questa familiarità, assai riconoscibile, viene perturbata dal suo interno rendendo una tipica rappresentazione piatta e macchiettistica un oggetto assai inquietante, per non dire doloroso. Dietro la riconoscibile tipizzazione dei personaggi infatti vi è dell’altro, vi sono dei profondi tratti psicologici, perlopiù disturbati, che emergono con forza e sono degni di credibilità. Il referente principale della soap opera allora, oggetto di scherzo nella serie dentro la serie “Invitation to Love”, viene messo in crisi allo stesso modo dell’apparente calma di Twin Peaks, in una coerenza che desidera da sempre smontare le proprie messe in scena per sondare quello che c’è sotto. Da Invitation to Love a Mysteries of Love il passo è alquanto breve.

Lynch e gli altri
Non è culto dell’autore, ma non si può non notare un abisso tra le puntate girate da David Lynch e quelle date in mano agli altri registi. Indipendentemente dalle soluzioni visive che sono davanti agli occhi di tutti, come la sequenza capolavoro del finale di Lost Souls (S02e07), la differenza sta nell’intenzione stessa che sta alla base della rappresentazione. È dato per assodato che Twin Peaks ha una prima stagione e un terzo della seconda di altissimo livello (fino alla scoperta dell’assassino di Laura), e tutto il resto, eccetto il season finale sempre by Lynch, di rara bruttezza. Questo aspetto lo analizzeremo più tardi, ma è un punto di arrivo di un approccio che ha già alcuni segnali nella prima stagione. David Lynch infatti desidera creare un’ambientazione perturbante, osa dove altri non hanno mai osato (pensiamo all’omicidio di Maddy). Le altre firme invece, pur cercando di seguire il mood del suo creatore, non hanno la stessa capacità di penetrare e far vibrare l’universo messo in scena. Per non parlare poi, come giù accennato prima, del tradimento messo in atto con la risoluzione DEL mistero per eccellenza. La storia è nota: Lynch e Frost hanno fatto di tutto per opporsi alla scelta della produzione, consci che IL mistero di Laura fosse il motore di tanti altri misteri, e, dopo essersi arresi alle direttive dall’alto, hanno lasciato precipitare la seconda stagione senza seguirla più di tanto (il regista iniziò a lavorare sul progetto di Cuore Selvaggio). Gli esiti lasciano a bocca aperta, con una cittadina che diventa parodia, dove i personaggi fanno il verso di se stessi tra reiterati ok con il pollice, richiesta di ciambelle e cherry pie come se piovessero dal cielo, ma soprattutto normalizzandosi in una mediocrità che non ha nulla da spartire con quanto avevamo visto prima. Gli esempi sono davvero infiniti, supportati da una frammentazione delle linee narrative senza molto senso come la fuga di James, il terrore della paternità di Andy, il flirt di Audrey con Wheeler, etc. Manca la connessione, perché manca Laura. Senza dimenticare lo spostamento di senso clamoroso della Loggia Nera che in un’avventura dentro un dungeon con simboli, leve e mille spiegazioni, snatura completamente tutto quel senso quasi esoterico, di non accessibilità che aveva caratterizzato la prima parte della serie, quasi ci fosse la rassicurante volontà di spiegare, di congelare tutto in una materialità accogliente. Non c’è più un oltre. Si sguazza in qualche genere precostituito (lo slasher movie nel risveglio di Leo, l’abduction fantascientifico per il Maggiore Garland, l’horror poltergeist nella morte di Josie) e si porta all’estremo la comicità più banale. Insomma, tutto quanto è familiare non è più oggetto di perturbamento, ma un loop piatto senza un’idea chiara da seguire. Alla fine però torna David Lynch con prepotenza e con la magrittiana sequenza conclusiva smista di nuovo le carte in tavola. Cooper, relegato a un personaggio da pubblicità, può finalmente fare i conti con il proprio lato oscuro, muovendosi in uno dei temi cardine della poetica del regista, che troverà in INLAND EMPIRE la risoluzione finale. Vi ricordate il guardiano della soglia dell’opera del 2006, impersonato dall’allucinato “Fantasma” polacco? Anche nel finale di Twin Peaks vi è la manifestazione del doppelgänger nel moltiplicarsi di Dale Cooper dentro il labirinto della Loggia nera. Non siamo allora molto lontani dal volto raccapricciante di Laura Dern che guarda se stessa, perché qui il nostro protagonista affronta l’ingenuità che lo caratterizza e perde la sfida. La conseguente possessione di Bob con la ghignante smorfia davanti allo specchio lascia tutti i fan in preda al panico. Questo perché Twin Peaks viene cancellata e il clamoroso cliffhanger rimane tale. Per fortuna però presto sapremo come il nostro protagonista supererà il suo incubo.

E Fire Walk with Me?
Un rimando al film più bistrattato di David Lynch è alquanto doveroso. Prequel ipertrofico, perverso e sconclusionato, Fuoco cammina con me è un atto d’amore e dolore nei confronti di un mondo personale tradito. Pensiamo ai titoli di testa su un televisore sintonizzato che viene violentemente spaccato da un corpo contundente, pensiamo a un magnifico David Bowie che irrompe in una tela surrealista e accusa Cooper per quello che diventerà, pensiamo all’esasperata maniera nella rappresentazione che forza e rende di nuovo perturbante, rivificandolo, un immaginario corrotto, ma soprattutto, pensiamo a come tutta la pellicola urli il desiderio di aprire nuovi interrogativi. Come a dirci che c’è ancora tanto da esplorare e rimarrà sempre una rosa blu, manifesto di un cinema irriducibile nel voler essere libero da gabbie interpretative e risoluzioni finali. E’ sicuramente questo l’embrione del Twin Peaks che verrà.

Twin Peaks legacy
Esiste un prima e un dopo Twin Peaks, si dice spesso. E nonostante la vacuità di affermazioni del genere e l'inutilità del tono millenarista che le caratterizza non c'è dubbio che poche serie televisive abbiano avuto un impatto e un'influenza anche solo paragonabili alla serie creata da David Lynch e Mark Frost. Sono passati ventisette anni dalla messa in onda della prima stagione e il panorama seriale ha cambiato ripetutamente faccia, grazie a trasformazioni graduali, organiche, mosse non tanto da rivoluzioni sistemiche quanto da progressivi scivolamenti e innovazioni a più livelli, da quello produttivo a quello tecnologico, da quello estetico-narrativo a quello fruitivo. Non un'inversione di rotta rispetto al passato, né tantomeno un azzeramento dell'esistente, quanto invece un processo di stratificazione che ha aggiunto idee e modelli nuovi ad altri già sedimentati. A differenza del suo Ritorno dopo un quarto di secolo, le prime due stagioni di Twin Peaks sono andate in onda su ABC, uno dei principali canali generalisti statunitensi, settore in cui all'epoca nessuno aveva mai osato così tanto, ma che ben presto si è dimostrato fertile alle innovazioni in materia di narrazioni seriali, anche perché i grandi cable drama sarebbero arrivati solamente da lì a una decina d'anni. Non è un caso che dopo la serie di Lynch e Frost la TV free-to-air americana abbia realizzato serie come E.R., The X-Files e The West Wing, sicuramente ancora oggi tra le pietre miliari della serialità televisiva in chiaro. Guardando al panorama seriale contemporaneo non si può non sottolineare come una delle principali questioni in campo sia la crescita costante della cinematic aesthetic e del dibattito critico che la accompagna. Se oggi si parla della permeabilità tra cinema e televisione, della presenza di personalità creative e in particolare di autori cinematografici nelle produzioni televisive, il merito è in gran parte di Twin Peaks, che per prima tramite la figura di David Lynch ha nobilitato un medium e una forma espressiva considerati ancora di serie B. È grazie a Twin Peaks che Steven Soderbergh può girare tutti gli episodi di una serie come The Knick e ricevere un'attenzione da critici e studiosi non inferiore a quella del miglior cinema d'autore, che Jill Soloway può affermare di aver pensato e sviluppato Transparent come se fosse un lungo film invece che una sequenza fomulaica di segmenti narrativi, o che serie come Boardwalk Empire e Vinyl possono essere esteticamente marchiate dallo stile di Martin Scorsese, il quale girando i pilot dei due show consegna una sorta di imprinting registico, esattamente come fece Lynch con Twin Peaks molti anni prima. Grazie alla poetica dell'autore di INLAND EMPIRE e alle abilità nell'intreccio di Mark Frost il television landscape ha iniziato a essere costellato di prodotti sempre più creapy, a vedere il perturbante come elemento spesso fondamentale per agganciare gli spettatori (si pensi a una serie come The Killing), ma soprattutto ha prodotto show capaci di attribuire alla narrazione un ruolo dominante, che ora con una struttura a puzzle (Lost), ora con enigmi interni da risolvere (Westworld), hanno sfruttato al meglio le potenzialità del racconto seriale. Nulla di ciò sarebbe stato possibile senza la capacità di Twin Peaks di gestire la propria complessità con consapevolezza e di usare la serialità e le sue caratteristiche specifiche (come il cliffhanger) come strategia per creare un fandom sempre più solido e affezionato, il tutto ben prima dei forum e dei social network. Impossibile fare previsioni sul tanto atteso Ritorno, ma non c'è dubbio che accanto alle ovvie e legittime ragioni commerciali quest'operazione sia di estremo interesse dal punto di vista creativo, e lo sarebbe anche se il risultato non dovesse essere all'altezza delle aspettative dei più. David Lynch si confronta con una delle sue creazioni più celebri, lo fa un quarto di secolo dopo l'ultima volta e in un sistema televisivo radicalmente diverso, in cui grazie alla libertà conferitagli da Showtime può non solo dirigere tutti gli episodi e avere il controllo totale sull'opera, ma anche spingersi molto oltre rispetto alle prime due stagioni per quanto riguarda la rappresentazione del sesso e della violenza.

There's always music in the air...
La musica abbonda in Twin Peaks, non è mai fine a se stessa, soprattutto quella diegetica. Ci sono molte melodie o canzoni con cui i personaggi si abbandonano ed entrano in contatto con il loro lato inconscio. L’esempio per eccellenza è senza dubbio Leland Palmer che, per rielaborare il lutto, ma anche per negare la propria colpa, si isola tra balli e canti sfrenati. E guarda caso la sua vera identità emergerà con un ribaltamento di questa abitudine, nel dettaglio di un grammofono che gira a vuoto. Anche Audrey nel suo ondeggiare sognante vira l’attenzione su un mondo ideale che è in netto contrasto con la realtà dei fatti, un po’ come James, centauro tormentato, che usa il jukebox per distrarsi dai rimorsi che lo attanagliano. In Twin Peaks però la musica non è solo un’evasione, una fuga, anzi, alcune volte può invece presentarsi come un’irruzione epifanica che apre a una nuova consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda. Questo aspetto lo riscontriamo sia nella risoluzione dell’enigma del Nano con il brano Into the night che riecheggia dalla casa dove si è compiuta l’orgia la notte della morte di Laura sia nel bellissimo finale al Roadhouse della puntata Lost Souls. Qui Julee Cruise, cantante feticcio di David Lynch, si sposta dal registro frizzante di Rockin’ back inside my heart a quello drammatico di The world spins, una chiara allusione, immedesimazione emotiva, al nuovo omicidio che sta per accadere (di nuovo). La dissolvenza che lega i due brani e crea una netta ellissi di tempo, è collocata sulla parola shadow, come per sottolineare ulteriormente su più livelli la fatalità di ciò che seguirà. In questo frangente tutti i personaggi sembrano allinearsi al tragico momento, si guardano intorno, sentono l’inevitabile coazione a ripetere e vivono il momento come parte di un inconscio collettivo. Lo spettatore può condividere questo momento proprio grazie alla melodia in sottofondo.