Drammatico

I RE E LA REGINA

NazioneFrancia
Anno Produzione2004
Genere
  • 66465
Durata150'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Nora cerca un uomo che la capisca. Ismael, suo ex marito, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico.Il padre di Nora, noto scrittore, sta morendo. La sorella di lei è lontana._x000D_

RECENSIONI


Il film di Desplechin, presentato alla rassegna veneziana 2004, arriva finalmente nelle sale italiane dopo i consensi e gli onori ottenuti, non solo in patria. Uscita sacrosanta quella voluta dalla Fandango per quello che, senza giri di parole, ci pare uno dei film francesi (che vuol dire europei) più belli del decennio, all’epoca ingiustamente ignorato dalla giuria lagunare. Rois et Reine è vortice che aspira tutto - commedia e dramma, tragedia e farsa -, un lavoro complesso che, ritraendo figure con realismo estremo, non disdegna trasmutazioni astratte o metafisiche, che, miscelando truffautianamente registri (cinema, teatro, televisione, filmati di repertorio) non ha paura di esagerare, ma non perde mai l'equilibrio. Divisa in due parti e un epilogo, la pellicola segue due fili narrativi fondamentali - alla storia di Ismael (un Mathieu Amalric in stato di grazia) si conferisce un andamento più schizzato e demenziale, a quella della sua ex moglie Nora, più drammatico e toccante - e, confondendo le carte della cronologia, strizza l’occhio alla tradizione del brillante americano (le note di Moon river ad aprire e chiudere) pur rimanendo, per i toni intimi, il fitto dialogismo, il perfetto disegno introspettivo, profondamente radicato nella tradizione del cinema transalpino. Desplechin, (autore di straordinario spessore ma ignorato sistematicamente dalla distribuzione italiana, probabilmente a causa della difficile collocabilità di un’opera che spesso e volentieri deborda – non solo nella durata, come in questo caso –) costruisce una galleria di personaggi impagabili, dirige magistralmente le pedine di un tormentato gioco di ruolo e, assecondando le volute di una scrittura stratificata, arriva, tra pianti e risa, alla scena della lettura dell’epistola paterna (citazione esplicita, sottolinea l’autore in conferenza stampa, della scena di Notorius in cui Cary Grant fa ascoltare alla Bergman la voce del padre – ulteriore conferma della quantità e varietà di riferimenti di cui si nutre la pellicola -) lanciando infine una pietra pesante sul cuore dello spettatore.
Raro trovare un film così generoso e intelligente, così denso (metafore e simboli ricamano l'ordito) eppure così leggero, calibratissimo nel giocare coi contrasti e con il tempo filmico (la dialettica tra presente e passato è continua e viene praticata apertamente) camminando, come fa, sulla delicatissima linea di tanti confini pericolosi: quelli tra razionalità e passione, sanità e follia, impulsi amorosi e baratri di solitudine, lacrime e ghigni.
Un regalo tardivo, francamente impedibile.