TRAMA
È mattina presto, il mare di Ostia è calmo. Un uomo bussa a casa di una signora: le venderà un orologio. È sempre mattina presto quando, qualche giorno dopo, un giovane assistente di filosofia verrà lasciato fuori dal gruppo scelto per la riesumazione del corpo di Nietzsche. Due torti subiti. Due famiglie apparentemente incompatibili: i Pavone e i Vismara. Borghese e intellettuale la prima, proletaria e fascista la seconda. Nuclei opposti che condividono la stessa giungla: Roma. Un banale incidente farà collidere quei due poli. E la follia di un ragazzo di venticinque anni scoprirà le carte per rivelare che tutti hanno un segreto e nessuno è ciò che sembra. E che siamo tutti predatori.
RECENSIONI
Il miglior complimento che si può fare ad un regista esordiente è probabilmente quello di riconoscere già nel suo cinema un'impronta ben marcata, una personalità, uno stile indiscutibile. Pietro Castellitto, 29 anni, figlio di cotanto padre, vuole apparire e un po' tramortire; lo si capisce da ogni singola sequenza di I predatori, un film che trabocca idee e guizzi stilistici, gusto per il paradosso e dialoghi surreali. Dopo La terra dell'abbastanza (2018) e Favolacce (2020), riconosceremmo un lavoro dei fratelli D'Innocenzo “a occhi chiusi”, e lo stesso si può dire per Castellitto. Anche – ma non solo – in virtù della sua incapacità di porsi un freno e di incanalare la narrazione su percorsi già altrove codificati. Il paragone con i D'Innocenzo, naturalmente, non è per nulla casuale: siamo sempre dalle parti di Roma, con un sottobosco piccolo-medio borghese da far accapponare la pelle. Sia da una parte che dall'altra, giocando di paradossi, la verosimiglianza quasi “biologica” viene raggiunta attraverso la rappresentazione di maschere teatrali che poco o nulla sembrano avere di credibile. In un modo (il dramma esistenzalista) o in un altro (la commedia grottesca) i D'Innocenzo e Castellitto ci portano su un altro pianeta, inesistente ma spietatamente simile – se non identico – al nostro. Gli intellettuali Pavone e i proletari Vismara sono campioni di un'umanità imbecille, superficiale, ordinaria, che (ci) fa sorridere perché inquadrata attraverso idiosincrasie e mancanze madornali. In questo contesto, il nostro punto di vista coincide con quello del più alieno tra gli alieni, Federico (interpretato dal medesimo Castellitto), che con sguardo attonito sgomita per un posto nella società (il tragicomico rapporto con il mentore Fiorillo) e polemizza con tutti (o sogna di poterlo fare) come il morettiano Michele Apicella dei vari Io sono un autarchico (1976), Ecce bombo (1978) e Sogni d'oro (1981). È un film radicale e chic, I predatori, iconoclasta e sicuramente non conciliato né con se stesso né col suo pubblico di riferimento. Potrebbe essere un difetto, ma non lo è: è semmai il segnale di una vitalità e di un entusiasmo che se ne frega degli inquadramenti e che procede, sgrammaticato e sicuro di sé, verso una maturità autoriale che – vista la premessa – attendiamo con trepidazione.

I predatori, opera prima di Pietro Castellitto, dimostra che il figlio d’arte può contare su un talento innegabile. In primis come attore: profilo obliquo, sguardo attonito, atteggiamento stralunato, maschera drammaticamente comica. E anche come regista dimostra una certa smania stilistica e l’ambizione, sempre apprezzabile, di non accontentarsi, di non volersi adagiare su formule e formati ad uso e consumo televisivo. Parte da una base – c’è chi dice Ferie d’agosto chi più in generale la tradizione della commedia all’italiana – e la fa esplodere in un delirio post-ista che sembra però traghettare verso il vuoto. L’eccesso di soluzioni formali più o meno azzardate (piani sequenza dinamici, angoli estremi, tagli dall’alto, primissimi piani) sono (dis)funzionali verso la rappresentazione di un quadro dell’assoluto eccentrico, del marcatamente grottesco, screziato di azioni paradossali, lampi improvvisi che cadenzano una narrazione studiatamente frammentata. Al centro della storia due famiglie: una borghese, benestante, intellettuale; l’altra popolana, coatta, fascistoide. Al di là di una meccanica endemica di scambi e favori fra le parti, le due classi sociali non dialogano. Il racconto frammentato sottolinea ancora di più questa incomunicabilità o non volontà, non interesse a comunicare. Due mondi che procedono paralleli e parallelamente sgradevoli (anche se il suo centesimo di empatia Castellitto lo spende – problematicamente? – per i proletari destrorsi, vigliacchi ma umani). Il risultato è un film sproporzionato, fuori misura, in cui l’entusiasmo iconoclasta di Castellitto regista esordiente, nonostante diverse trovate brillanti, non riesce a trovare la giusta misura. Non un peccato di generosità, quanto un eccesso di ammiccamenti: una commedia nera di ambiente romano, in cui collidono alto e basso, demenzialità e critica sociale (?), un piano di scorrettezza forzosa a tutti i costi. Che quindi, per effetto contrario, risulta alla fine correttissimo, ben centrato in un quadro fighetto ad uso e consumo della stessa intellighenzia di cui fintamente si prende gioco. I moralismi di conseguenza abbondano. Nel suo tentativo antiborghese per presa di posizione aleatoria ad ogni cambio di scena, I predatori è alla fin fine il film più borghese dell’anno.
