Drammatico, Giallo, Grottesco, Recensione, Sala

I MISTERI DEL GIARDINO DI COMPTON HOUSE

Titolo OriginaleThe Draughtsman’s Contract
NazioneU.K.
Anno Produzione1982
Durata108'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Costumi

TRAMA

Wiltshire, 1694: Mr Herbert, proprietario di Compton Anstey, lascia la sua splendida magione per recarsi a Southampton. Sua moglie, volendo ricomporre il rapporto matrimoniale in crisi, approfittando dell’assenza del padrone di casa, incarica il paesaggista Neville di realizzare dodici disegni della casa e del giardino da regalare al consorte. Di fronte alle sue esose richieste, la donna accetta per contratto di concedere all’artista favori sessuali. L’omicidio di Mr. Herbert farà assumere nuovi significati alle vedute ritratte dal disegnatore che scoprirà di essere stato strumento di una congiura.

RECENSIONI

Peter Greenaway - «Che cosa ha in più la pittura? Quella cosa chiamata sincronicità, la capacità di dare alle immagini forza e profondità. Niente a che fare con la drammaticità del cinema, soprattutto quello americano».

«La macchina da presa mantiene, come il disegnatore del film, uno sguardo costante, disimpegnato, osservatore, acritico, interessato alla trama di un tessuto, al lucore di una candela, allo stormire degli olmi in pari misura che alla postura di un cadavere o allo sconforto di una vittima di una coercizione sessuale. Così tutti gli avvenimenti sono aperti all'interpretazione, alla riconsiderazione, alla reinterpretazione. Non è un caso che la figura centrale, il disegnatore, abbia nel 1694 un dispositivo ottico per fissare la sua veduta sulla carta, uno strumento che di principio non è molto diverso da quello usato dagli operatori nel 1982 per fissare le vedute di Compton House sulla pellicola».

«Trascorsi un'estate calda seduto nei giardini di una modesta casa vittoriana a Glasbury disegnandone le facciate in pietra - nord, sud - quasi umide quando venivano rivelate dal sole di mezza estate. Esaurite le facciate, disegnai la serra, i giardini e gli stendibiancheria. Fui piacevolmente interrotto, nel mio indolente compito, dai bambini che chiedevano aiuto per arrampicarsi sugli alberi, dai vicini che volevano parlare, dalle mucche che, in uno sciame di mosche estive, erano incuriosite dal mio parasole a ombrello, e dalle frequenti incursioni al fresco interno della casa.  La luce era molto brillante, le ombre nere e dai bordi netti e il mutare del sole era sufficiente per cambiare radicalmente i dettagli e l'atmosfera.  I posti giusti li segnavo nel giardino con comode sedie, ognuna abbandonata dopo che il sole si era allontanato troppo, e ognuna lasciata posizionata durante la notte in modo che potessi tornarci esattamente alla stessa ora il giorno successivo. Un tale esercizio, così piacevolmente intrapreso, è stato l'idea centrale del film, ne è diventata la strategia: un disegnatore fa una serie di disegni di una casa di campagna inglese ed è piacevolmente interrotto».

Nei dodici disegni di un giardino si ravvisa più di quanto emerge dalla visione diretta del giardino stesso? A volte ciò che chiamiamo realtà è solo apparenza? Le rappresentazioni dell'esistente costituiscono elementi ambivalenti che scontano la scarto tra occhio e intelletto? Il protagonista de I misteri del giardino di Compton House pretende di dirigere gli eventi, ma ne subisce gli imprevisti, tenta di ingabbiare il Reale in una griglia, si prende terribilmente sul serio ed è certo di rappresentare il mondo accuratamente. Ma non tiene in nessun conto che il tentativo di costringere ciò che vediamo in un rigido schema taglia fatalmente fuori dal quadro le implicazioni passionali, gli odi e gli intrighi. Sarà dunque punito: accecato perché ha voluto vedere senza saper guardare, ucciso perché, dimentico del suo status di outsider, peccando di tracotanza, non ha considerato chi teneva il coltello sociale dalla parte del manico.
The draughtsman's contract (letteralmente Il contratto del disegnatore), un film cartesiano travestito da mystery (che rimane tale: restano aperte le supposizioni relative all'identità dell'assassino), diventa all'improvviso oggetto di culto che rivela al mondo il talento di Peter Greenaway. In esso si mostra al grande pubblico un immaginario già compiuto: l'artista usato e manovrato, la donna giudice dei destini, l'illusorietà del tentativo di dare ordine al caos, le morti acquatiche, il sesso e il denaro come motori degli eventi, la pittura come arte suprema, tutte le ossessioni che caratterizzeranno la filmografia commerciale del regista sono già presenti. Mister Neville vede la sua creatività minacciata da congiure, da un cinico establishment, dal canagliesco compromesso (il contratto che gli si rivolta contro) che finisce col decretare il fallimento delle sue ambizioni artistiche. La riflessione che da subito caratterizza il percorso dell'autore è dunque quella, indiretta, sul suo destino di filmmaker alle prese con gli accidenti di un apparato spietato, oliato da interessi estranei all'Arte, che conduce invariabilmente alla rovina (lo stesso accadrà al Kracklite de Il ventre dell'architetto).

Peter Greenaway, pittore, dopo una lunga serie di eccitanti e premiatissimi lavori sperimentali, presenta al grande pubblico un film incentrato su un "paesaggio con figure": questo spiega l'incedere continuo di inquadrature fisse su panoramiche d'insieme, con pochi, lineari movimenti di macchina e primi piani ridotti all'osso («Non vedo la necessità di muovere la cinepresa dentro immagini che già si muovono»). I misteri del guardino di Compton House dice già della predilezione del cineasta per l'artificio (anche in questo caso l'apparenza inganna: non c'è alcun tentativo di una seria rievocazione storica e questo lo si nota anche dai particolari: si vedano le acconciature esagerate dei personaggi, vestiti invariabilmente di bianco o di nero, si ascoltino i dialoghi, forbiti fino alla sofisticazione) e della sua ribadita convinzione che il realismo sullo schermo è pura utopia. Celebrando tutta una tradizione di landscape art inglese, Greenaway non manca neanche all'appuntamento con due insigni riferimenti cinematografici: il Resnais de L'anno scorso a Marienbad, da sempre film culto del regista e, soprattutto, Blow up di Antonioni, di cui ripropone, in chiave settecentesca, il tema del rapporto tra la realtà, di per sé ambigua, e la sua rappresentazione che, lungi dal consentirne la decifrazione, la rende ancora più complessa e impenetrabile.
Ruolo non secondario, ancora una volta, ricoprono le splendide musiche di Michael Nyman che, partendo da alcune variazioni di Purcell, in sublime equilibrio tra rievocazione d'epoca e avanguardia minimalista, si sposano perfettamente alle immagini.
Un film di gioiose metafore (che Greenaway trasse da un originale di quattro ore che comprendeva una serie di sottotrame che coinvolgevano personaggi della servitù e che rispecchiavano, dal basso, le vicende del piano nobile, oltre a sequenze dettagliate sulla lavorazione dei disegni nelle varie ore del giorno: assenze che pesano e che turbano il programmato equilibrio del lavoro) che sottolinea come lo sguardo dell'artista sia sempre impuro e che ribadisce, ancora una volta, la relatività di qualsiasi approccio al Reale. La mano guantata che muove la matita è dello stesso Greenaway, autore di tutte i disegni (il guanto serviva a mascherare la mano: «Nessun disegnatore che si rispetti disegnerebbe indossando un guanto»).
La riflessione del film del 1982 verrà ripresa e variata nel sublime Nightwatching, primo capitolo di una serie (soggetta a molteplici letture, di cui solo l'ultima è quella eruditiva) dedicata ai pittori olandesi.