TRAMA
Ahskan e Negar, appena usciti di prigione, hanno un sogno: mettere su una band e ottenere i visti necessari per partecipare ad un evento musicale a Londra.
RECENSIONI
Per Ghobadi non è più Il tempo dei cavalli ubriachi. Lorizzonte giovanile adesso è alle prese con i propri sogni, con il proprio desiderio demancipazione, rincorre uniconografia straniera di miti e possibilità espressive, spera che essa sia un nuovo punto di partenza, un luogo di adozione per chi ambisce al cambiamento.
I muri degli scantinati, dei garage, delle soffitte, di tutte le improvvisate e clandestine location, dove Ashkan, Negar e Nader tenteranno di formare la tanto bramata band, rigurgitano i segni della filia occidentale. Da un Bogart in posa, passiamo al poster degli Arctic Monkeys, senza dimenticare i quattro di Liverpool.Attenzione però, lemulazione non è lunica via di fuga. Cè la tradizione, lattaccamento ad un paese per cui si lotta ( e si è lottato). Ecco allora che il viaggio nellarte non riconosciuta ritorna lentamente al cuore dellidentità culturale, nellincontro con dei musicisti sempre più legati alle proprie radici.Non è una retromarcia, ma solo il tentativo di far coesistere utopicamente le due prerogative fondamentali, i due patrimoni per un pensiero che possa definirsi libero.
Questa libertà arde, elettrizza limmagine, non spegnendosi mai sullesibizione feroce ed esplicita della denuncia. E pensare che si tratta di unopera prodotta e realizzata senza autorizzazione, costata allo stesso regista più di un fermo durante le riprese. Ne I gatti persiani lostilità del regime aleggia, imponendosi però solo in brevi tratti giocosamente parodici (il paradossale confronto tra Nader e il giudice; il sequestro da parte della polizia del cane di Negar) e rigorosamente confinata nel fuoricampo. A dominare invece è lenergico sentimento dei giovani protagonisti, il loro incessante via vai tra i vicoli e i luoghi fuorilegge di una Teheran disagiata, in cui, quasi si trattasse di un piccolo miracolo, è il potere della musica a superare fisicamente (e metaforicamente) le barriere della clandestinità.Gli spazi angusti della realtà underground si spaccano per girovagare impazziti tra le strade della capitale, inquadrando di sfuggita spettatori inconsapevoli e spesso restii, esaltando i tratti di altri che scherzano con la telecamera, muovendosi tra il traffico e la vita cittadina, non mancando però di mettere in luce le profonde contraddizioni e i limiti sociali. Sono queste sequenze grezze e amatoriali, montate sul ritmo dei brani suonati di volta in volta, che fanno emergere il fulcro problematico della quotidianità.
E la musica quindi il punto di congiunzione per una struttura ibrida che alterna la narrazione del dramma privato con digressioni-videoclip di taglio documentaristico.Non cè frizione in questo dualismo che sebbene sia (inevitabilmente) segnato da alcuni passaggi meno convincenti di altri, mantiene una carica comunicativa tesa e immediata, arde di responsabilità morale, rifuggendo però il classico baratro del didascalismo. A crearsi è unintesa, quasi una fami(g)liarità con le vicissitudini dei personaggi. Ghobadi ci dice quanto questa rivalsa generazionale e idealistica sia più vicina a noi di quanto sembri. Mancano purtroppo dei padri, delle figure che possano garantirne un futuro radicalmente diverso.Perché la speranza di essere adottati per mezzo di un visto o di un passaporto è mera illusione.
La dolce storia dei gattini di Nader, purtroppo, non va oltre la similitudine che si porta dietro.