TRAMA
Grecia 1962. Tre esistenze si incrociano: quella di Chester, elegante e carismatico consulente d’affari americano, di sua moglie Colette, giovane seducente e inquieta, e di Rydal, una guida turistica in fuga dai fantasmi del passato.
RECENSIONI
Rydal, un giovane americano che, allontanatosi dalla famiglia, fa la guida turistica e vivacchia di espedienti in Grecia, incontra una raffinata coppia di connazionali che si rivelano truffatori in fuga. Il terzetto diventa un triangolo, in un gioco ambiguo in cui agiscono attrazioni e rispecchiamenti: se Rydal desidera Colette, la giovane e bella moglie, il marito, Chester, gli ricorda il padre da poco morto e al cui funerale (senso di colpa!) non si è recato; Chester, da parte sua, vede in Rydal una versione giovane di se stesso, i due, in fondo, essendo la stessa persona (da qui il titolo, che fa riferimento ai due volti del dio Giano).
I percorsi dei personaggi, una volta incrociatisi, sembrano risucchiati in un vortice di eventi che rispondono a una logica ineluttabile (le due morti che fungono da motore delle azioni sono entrambi accidentali): così, tanto per essere chiari (la traccia mitologica viene suggerita all’inizio), Rydal-Teseo, dopo aver seguito il filo di Arianna (il bracciale di Colette abbandonato in macchina che lo costringe a tornare nell’hotel, circostanza che si rivelerà decisiva) si trova coinvolto in un Labirinto di peripezie (in cui il rapporto complice da scelta diventa necessità) che lo condurrà al faccia a faccia decisivo col Minotauro. Rydal vince: il padre putativo salva Rydal addossandosi le morti lasciate dietro di sé, il giovane salda il conto col suo vero padre, andando al funerale di Chester (che ne fa le veci).
Dallo sceneggiatore di Drive, Hossein Amini (ma era suo anche l'adattamento del bellissimo Jude di Michael Winterbottom), per la prima volta alla regia, un piano adattamento, che confina col patinato esercizio di (vecchio) stile, di un romanzo della riconoscibilissima Patricia Highsmith.
Peccato che il film non si sollevi mai di un palmo, i giochi di pressione tra i personaggi, il reciproco, tacito ricatto, l'equilibrio dei rapporti perennemente precario che si perde precipitando in un abisso di morte, messi sì bene in evidenza dalle premesse, ma risolti senza la paventata complessità: i motivi del thriller psicologico, inizialmente accennati, vengono del tutto abbandonati in nome del puro meccanismo tramico. Unica raffinatezza: il rapporto sessuale colpevole tra Rydal e Colette, intelligentemente omesso, viene portato avanti come una possibilità per poi farsi oggetto di improvvisa agnizione.
Tra reminiscenze hitchcockiane (anche ne L'altro uomo - Delitto per Delitto, sempre dalla Highsmith, i destini dei personaggi erano forzatamente incrociati) e riverberi del mélo classico hollywoodiano, con le implicazioni tragiche e noir ad arricchire la portata, il film non va oltre l'occasione per i tre bravi interpreti, la tensione rimanendo un'ipotesi.
Lo sceneggiatore iraniano, adottato dall’Inghilterra, Hossein Amini, noto per Jude, Le Ali dell’Amore, vari ed apprezzati drammi televisivi ma passato anche a Hollywood con script più alimentari, esordisce alla regia di un lungometraggio adattando il romanzo (1964) di Patricia Highsmith e sfruttando le bellezze esotiche di Atene, Creta ed Istanbul. Un evidente omaggio al cinema del passato (citato anche Testimone d’Accusa) con approccio “classico”, fondato sulla costruzione dei personaggi e le recitazioni, su di una restituzione piana delle dinamiche del plot che, come la scrittrice ama, offrono colpi di scena virati in beffe amare del destino, costringendo i caratteri a convivere loro malgrado. Amini imbastisce il thriller, sonda il mistero sulle reali motivazioni dei personaggi e cavalca la suspense degli uomini in fuga. Ci sono anche temi più ‘esistenziali’: la riconciliazione con la figura paterna del Rydal di Oscar Isaac (miscasting: Mortensen pare più giovane della propria età e Isaac più vecchio) e i due volti di persone ed esistenza (al passato: la gioventù idealizzata; al futuro: la maturità con cinismo), rifacendosi all’etimologia del mese di gennaio e al dio Giano. Dirige gli interpreti al meglio e scrive in modo interessante i loro personaggi ma fallisce come regista “hitchcockiano” che, con la Highsmith, aveva feeling: non sa rendere credibili i twist del racconto che, per funzionare, non solo andavano restituiti come “accidentali” (non programmaticamente artificiosi) ma dovevano anche gestire in modo verosimile le reazioni a seguire dei protagonisti. Ha qualche problema anche con le scene di colluttazione, depotenziate perché, anche qui, senza la “naturalezza” (o ambiguità) necessaria: che sia una spinta immotivata (Rydal vs. Chester) o la fondamentale scena della caduta di Colette, dopo la quale tutto crolla, con i due uomini che iniziano ad accusarsi a vicenda di cose assurde (Rydal che accusa Chester, senza fondamento nel visionato, di averlo voluto incastrare) o a comportarsi immotivatamente (Chester che non dice a Rydal, in un primo momento, che è stato un incidente).