TRAMA
John McCabe e Constance Miller gestiscono un bordello in un piccolo paese di minatori. Una compagnia minieraria, per ottenere il terreno su cui sorge la bettola, usa ogni mezzo per levarseli dai piedi.
RECENSIONI
Il cinema americano ha un gran debito con il western: forma testuale, oltre che di entertainment, eletta a vettore dello spirito d'un popolo, pay off d'una civiltà. L'intraprendenza, lo scontro con l'ignoto ed allo stesso tempo, la seconda fronte, ombrosa e ghignante, la fuga e la ricerca di una verginità, dell'annullamento della sofferenza esistenziale, insomma, dove osano i reietti. John McCabe è uno sbruffone da due soldi, trasandato e scemo, lui e le sue storielle (se le rane avessero le ali non sbatterebbero tanto il culo) ma, gli tocca, è l'eroe altmaniano, lontano nel tempo da Phil Marlowe eppure vicinissimo alla scanzonata disperazione di un mondo, una realtà, un piccolo buco fangoso che pende vertiginoso all'annullamento.Il sogno della frontiera è aprire un bordello in paesucolo squallido in cui, quasi casualmente si è giunti; in un ambiente costantemente invaso dal fango e dalla pioggia, ove tutto appare attutito, avvolto in un torpore che sa di idiozia, Altman iscrive la propria azione di corrosione del mito, non azione per ottenere benefici ma piccoli accadimenti, che si appoggiano sull'orizzonte della casualità e così anche il rapporto tra McCabe e Mrs. Miller è sottilmente ondeggiante, non detto, forzosamente nascosto in infantilità - da parte di John - e rudezza "professionale" - Constance.Lontane le aperte possibilità della prateria, nella conca montana vige la costrizione ed in un ambiente del genere, soffocato e densificato dalla fotografia di V.Zsigmond, la tragedia si stringe ed avvolge la vita in un grottesco balletto, dai tratti falsamente seriosi, da casino, lindo e pulito all'insegna dell'antitesi, della falsità e della sconfitta.La lotta con la compagnia millenaria che vuole sfrattare la tranquilla attività d'intrattenimento assume l'aspetto dell'intestardimento; uomini impantanati nell'esclusione di prospettive si lasciano scivolare nella morte, nella fine d'un sogno la cui possibilità di concretizzarsi appare sempre un poco più in là, continui intoppi condiscono la quotidiana speranza ma con il lavoro e con i sentimenti si agisce sempre sbagliando ma con evidente, gentile umanità.

Robert Altman, dopo il genere bellico in M*A*S*H*, destruttura e stravolge i codici del cinema western partendo da un racconto (‘McCabe’, 1959) di Edmund Naughton: “Ho scelto quella storia perché banale, ordinaria (…). Dal momento che il pubblico conosce il comportamento di queste persone, ne conoscono anche la storia. Posso allora occuparmi dei dettagli, di ciò che è sullo sfondo” (Altman). Sono, infatti, i dettagli a fare la differenza: sullo sfondo c’è un’accuratissima ricostruzione storica (lo scenografo Leon Ericksen si è basato su documentazioni fotografiche) e allo spettatore sembra di non aver mai visto nulla di simile, abituato com’è alle stilizzazioni mitopoietiche della Mecca del Cinema. Dietro c’è anche il paesaggio innevato e fangoso, reso pittorico dalla fotografia di Vilmos Zsigmond. Le coordinate di genere, inoltre, sono solo l’anomalo contesto di una storia d’amore che, allo stesso modo, non è protagonista se non per segni distintivi sparsi (nove mesi in sala di montaggio con Lou Lombardo): Altman prima trasgredisce le convenzioni prendendo a protagonisti gli amati perdenti non-eroici, poi privilegia ciò che si svolge al di là del loro quadro, utilizzando sovente lo zoom per schiacciare le prospettive, enfatizzando con il montaggio sonoro la presenza del contorno fino a minare l’autorità dei loro dialoghi con l’overlapping. Sorprendente, soprattutto, la topica sparatoria finale, drenata di ogni matrice epica, con un protagonista tutt’altro che eroico e gli abitanti inconsapevoli del suo svolgimento. In una chiusura malinconica in cui l’amore non è salvifico e per i protagonisti sognatori c’è solo oblio, di leggendario restano solo le tre meste ballate di Leonard Cohen che danno il ritmo alle scene ("The Stranger Song", "Sisters of Mercy", "Winter Lady").
