Docufiction, Recensione

I CLOWNS

TRAMA

Il regista Federico Fellini, con una troupe, va alla ricerca, soprattutto a Parigi, di grandi clown del passato e rievoca quelli deceduti con messinscene di finzione.

RECENSIONI

La seconda esperienza televisiva di Federico Fellini (dopo il dietro le quinte di Satyricon girato per gli Stati Uniti) è una rievocazione insieme nostalgica, amara e divertente dei grandi pagliacci circensi del passato. I tipi (e i modi) da circo hanno attraversato tutto il suo cinema e, dopo quello al varietà e al cinema, l’omaggio diretto era tanto inevitabile quanto sentito nel voler attirare l’attenzione su di una realtà in via d’estinzione. Se l’apertura s’ispira ai fumetti di Winsor McCay, la lunga sequenza finale è, allegoricamente, un funerale per scomparsi pagliacci genuini (debole, con un umorismo che non rende loro giustizia). Fellini, stilisticamente, gioca con il documentario-reportage e la meta-cinematografia da nouvelle vague, andando in cerca, con finta troupe (di cui fanno parte anche Alvaro Vitali e la madre), di anziani clown ritirati o di testimonianze di celebrità clownesche e non del passato (veniamo introdotti a Fanfulla, Pere Loriot, Alex e Bario, il regista Pierre Etaix, i Fratellini e gli Orfei; in più, comparsate di Anita Ekberg e della figlia di Charlie Chaplin). Nel mentre, si lascia andare all’immaginazione, mettendo in scena ricordi personali e spettacoli nel circo, non lasciando mai intendere allo spettatore dove inizia il documento e dove finisce la finzione, “in linea” con il tendone in cui si esibiscono illusionisti e mattacchioni. Il brano più bello è quello memoriale sulla sua infanzia riminese in cui, anticipando Amarcord, ricorda i matti del paese, personaggi grotteschi che gli incutevano timore come i pagliacci. Episodico, come tutto l’ultimo cinema dell’autore, marcatamente romagnolo per essere “provinciale” (il doppiaggio calca l’impronta dialettale), il film contiene anche una gag rivolta ai critici (l’intervistatore gli chiede quale sia il messaggio nascosto dei suoi film: entrambi vengono raggiunti da secchi d’acqua), una a se stesso (la Tv francese non lo riconosce, lo chiama Bellini) e la poesia dell’evocazione dei defunti nel finale, a suon di tromba (”Uno non può sparire cosi”). Il tutto, però, è solo uno schizzo, non un affresco.