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TRAMA
Periferia di Catania, oggi. Manuela ha tredici anni, lavora come apprendista parrucchiera, vive con i genitori e la sorella. Una ragazza come tante. Fino alla notte in cui una statua decapitata della Vergine Maria le rivolge la parola.
RECENSIONI
Se la Madonna facesse la grazia.
La grazia di un film italiano che parla del sacro senza scadere nellagiografia o nel facile sberleffo. Un piccolo film stonato, disarmonico ma non bamboleggiante, saturo eppure ridotto allessenziale. Un racconto per immagini che, in unepoca in cui tutto deve essere chiaro, netto, spiegato, sceglie la strada dellallusione e del collage, cammino tortuoso e lussureggiante, anche quando le immagini sono letteralmente fatte di nulla (il prologo, un intreccio di trasparenze e pause musicali, è una dichiarazione dintenti). Una regia che non teme di immergersi nei colori e nei suoni di unutopia in via di smantellamento (il quartiere di Librino, opera di Kenzo Tange), né di cibarsi con avidità dei più disparati riferimenti cinematografici (gli adolescenti soli e in lotta di Truffaut, citato fin dal titolo, ma anche le surreali unghiate del primo Almodóvar e, perché no, il furore rappresentativo del Greenaway di The Baby of Mâcon). Un racconto (a)morale in cui la religione non è che uno degli aspetti della condizione e della follia umana: ossessionati dal desiderio di elevarsi, sublimando la quotidianità, i personaggi inseguono i rispettivi fantasmi, si ritrovano prigionieri di una rete di fughe illusorie e aspettative deluse, finiscono per constatare linutilità di ogni simulazione. La durezza (reale, non simulata) si scioglie nellabbraccio inatteso, la parola che non riusciva a formarsi, quasi per magia, si fa strada fino alle labbra, lesistenza (ri)acquista un senso. Ed è allora che il sogno (lincubo?) si avvera.
La Madonna ha fatto la grazia.
Il film, prodotto nel 2009 e presentato nel 2010 al festival di Venezia, ha trovato solo in questi giorni la strada degli schermi nostrani.
Preceduto, nella proiezione veneziana, dall’orribile corto Niente orchidee, in cui lo spettatore ha già il privilegio di apprezzare l’inespressività di un Beppe Fiorello che ritroviamo, somma fortuna, nel lungometraggio che segue, l’ultima opera di Roberta Torre è un tentativo, abbastanza fallimentare e moralmente ambiguo, di satira sociale in forma di commedia grottesca. La regista di Tano da morire riscrive maldestramente un’ideale pagina di cronica “azzurra” (l’apparizione della Vergine e la beatificazione istantanea della sventurata, e menzognera, giovane veggente) cercando di abbozzare un ritratto socioculturale della pagana Sicilia, alla maniera di un Pietro Germi. Al di là degli evidenti difetti di montaggio e dell’approssimativa messa in scena, dovuti, a quanto si racconta, a problemi produttivi di “ordine greco” (per dirla con Godard), I baci mai dati non convince già a livello di scrittura ed è persino irritante nell’accondiscendenza ed empatia con la quale descrive gli eventi e tratteggia i caratteri. Alla fine, a tutti i personaggi, anche ai più “mostruosi” ed indifendibili, viene riservata una carezza assolutoria che non ha nulla dell’umana pietas e molto dell’italica ipocrisia. Non si chiedevano a Roberta Torre cinismo e tantomeno uno sguardo rivelante superiorità e disprezzo, ma semplicemente coerenza e coraggio. La regista, infatti, non osa spingersi oltre il confine che separa la favola dall’assurdo, timorosa di poter urtare la sensibilità di un pubblico al quale, anche se incapace di credere, deve essere almeno concesso il diritto di non sentirsi mai chiamato in causa. Come lo spettatore, nessuno è del resto direttamente tirato in ballo: né la religione (alla fine, perché non si dovrebbe concedere alla povera gente il diritto di sognare?), né la politica (il parlamentare fedifrago non è certo un brav’uomo, ma almeno è un buon amante), né le istituzioni familiari. Il film, a cui non si perdona un finale penosamente ricattatorio, resta una piccola cosa inoffensiva ma non innocua, essendo complice del “sistema” che non vuole (o non può) stigmatizzare. Dio è forse morto, ma continua a vedere e a provvedere.