Commedia, Recensione

HYSTERIA

Titolo OriginaleHysteria
NazioneGran Bretagna/ Francia/ Germania/ Lussemburgo
Anno Produzione2011
Genere
Durata100'
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

Londra 1880. La nascita del vibratore e il suo utilizzo a fini terapeutici per combattere l’isteria femminile.

RECENSIONI

"C'era una volta...", si potrebbe cominciare, perché, in fondo, di favola si tratta: c'è un principe azzurro dal cuore puro e nobile, due sorelle entrambe graziose ma agli antipodi per temperamento, e gli immancabili ostacoli a rendere agognato e distante il "vissero felici e contenti". Il tutto materia vibrante intorno a quello che si riduce più che altro a uno spunto: la nascita del vibratore, strumento medico utilizzato per combattere il disagio di essere donna in Inghilterra nel 1880, quindi ai margini della società e trascurata sotto molteplici aspetti; un disagio che l'epoca interpretava come patologia, sotto il nome di isteria. Una vera e propria malattia, quindi, per la rudimentale psichiatria del periodo vittoriano, e considerata tale fino al 1952. La causa di  pianti, malinconia, irritabilità e rabbia sembrava infatti trarre origine da un qualche malfunzionamento degli organi genitali e dell'utero (la parola "isteria" deriva dal greco antico dove significa, appunto, "utero") e si verificò che un massaggio vaginale prolungato poteva indurre a una sorta di parossismo benefico e rigenerante. Nulla a che vedere, si pensava, con l'orgasmo, data l'assenza di penetrazione e la dubbia capacità delle donne di provare piacere sessuale.

Tralasciando le tante licenze e approssimazioni presenti, il film scivola leggero e piacevole tessendo con grazia le trame affettive e progressiste dei protagonisti intorno ai pudori dell’epoca. Lungo il suo percorso, però, si riscontrano non poche debolezze, a cominciare da una sceneggiatura così chiara nell'esposizione dei conflitti da risultare più volte didascalica, per proseguire con personaggi che sembrano avere viaggiato nel futuro tanta è la consapevolezza che ostentano del momento storico di transizione che stanno vivendo. Lampante, al riguardo, l’incipit con il medico ottuso che pesta la cacca e non se ne cura, portando germi dentro all’ospedale per poi collidere con il giovane dottorino illuminato, a dimostrare l’antagonismo tra vecchio che persevera e nuovo che avanza. Se a questo si aggiunge un'impostazione abbastanza televisiva della messa in scena, con set funzionali ma visibilmente posticci, caratteri a senso unico piegati a ciò che devono rappresentare e una leggerezza a stretto confine con la superficialità, la disfatta sembra dietro l'angolo.

Invece una chiave di lettura più indulgente, ma ottimale, persuade a prendere il film per ciò che è, una commedia godibile e innocua finalizzata all'intrattenimento che, a parte l’originalità insita nel soggetto, riserva ben poche sorprese. A meno di non stupirsi nel vedere il ritorno di Rupert Everett nel ruolo di un ricco e vizioso benefattore dalla battuta sempre pronta, o la resa dei conti finale esplicitata in un processo pubblico dove ogni personaggio ha il suo palcoscenico risolutivo. Escamotage, questo, di chiara matrice americana, dove pare che il superamento di ogni contrasto debba inevitabilmente passare attraverso un confronto con la collettività. Aspetto che, insieme alla brillante Maggie Gyllenhaal, alla regista Tanya Wexler, all’ideatrice del progetto (la produttrice Tracey Becker) e agli sceneggiatori Jonah Lisa e Stephen Dyer, malgrado tema e ambientazione rigidamente inglesi tradisce l'animo yankee del film. Curioso, infine, forse soprattutto liberatorio, che chi ha scritto il film venga da un paese, il Texas, dove l'acquisto di un vibratore è illegale e reso possibile solo da una dichiarazione dell'acquirente che ne promette l'utilizzo unicamente a “fini educativi”. E questo non nel 1880, ma oggi, nel 2012.

A distanza di dieci anni dal loro ultimo lungometraggio (Ball in the House), la regista Tanya Wexler (nipote del direttore della fotografia Haskell Wexler) e il produttore Stephen Dyer (qui anche sceneggiatore), statunitensi, si riaffacciano al cinema con una produzione tipicamente britannica che, in farsa, tratta un argomento scabroso ed impertinente (ricorda, come operazione, Morti di Salute di Alan Parker, ma la presenza di Maggie Gyllenhaal fa venire in mente Secretary): la meta dello svolgimento è sin troppo scontata, il viaggio è abbastanza spassoso fra caratteri simpatici, situazioni paradossali ed un convincente modo di fare commedia di costume mentre si dà, anche, una sbirciatina alle assurdità del percorso evolutivo umano. Il film, prove attoriali a parte, si esaurisce tutto, troppo, nella sua idea fulminante: raccontare e decantare la nascita del giocattolo erotico più venduto al mondo (ma all’epoca non era maneggevole come ritratto) per farne, oltretutto, uno strumento di autodeterminazione femminile, in un periodo in cui le donne non potevano votare e subivano persino l’isterectomia. Un periodo in cui la stessa medicina non contemplava che la donna potesse godere, nell’atto sessuale, al di fuori della penetrazione. Il personaggio di Maggie Gyllenhaal, anch’esso da manuale per portare avanti, con simpatia, le tesi femministe, riassume le proteste delle donne che non volevano sottostare alle idee maschiliste (come sua sorella); quello del giovane dott. Mortimer Granville, invece, rappresenta il futuro di un genere opposto cui poter aprire gli occhi alla passione.