TRAMA
Parigi, 1993. Selma, diciassette anni, vive con la sua famiglia berbera borghese e secolare. Quando incontra Julien, un giovane affascinante per cui prova una forte attrazione, si rende conto per la prima volta delle severe regole della sua famiglia patriarcale e di come queste influiscano sulla sua intimità. Mentre l’islamismo assume il controllo del paese di origine e la famiglia si sgretola, Selma scopre quanto sia potente il suo desiderio. Deve resistere e combattere. Attraverso la forza della sua gente, inizia a camminare lungo la strada che le farà capire cosa significhi diventare una donna libera.
RECENSIONI
Selma è la figlia adolescente di genitori cabili trasferitisi a Parigi – ricchi, alto-borghesi, istruiti, secolari. A cavallo fra due età (fanciullezza e maturità) e due mondi (Europa e Algeria), il coming of age della ragazza è tutto un divincolarsi fra un labirinto di morse e costrizioni. Selma infatti non si trova solo ad affrontare le classiche traversie esistenziali che ogni ragazza della sua età fronteggia (un innamoramento sconclusionato e la domanda pressante su chi si vuole diventare), ma è costretta soprattutto a fare i conti con la doppia culturalità – e le doppie misure – della sua famiglia, presto un detonatore di ipocrisie su cui si riaffaccia prepotente il lascito di vecchie tradizioni oppressive. Essere francese o essere cabila, essere entrambe o nessuna delle due. Essere una donna, soprattutto, e figlia di immigrati (ricchi e eruditi – e questo è un punto di vista molto interessante rispetto alle classiche storie di immigrazione). Nonostante i genitori appartengano all’avanguardia illuminata di un paese, l’Algeria, che hanno deciso di abbandonare a malincuore per motivi politici, rappresentano anche la prova di come le scorie patriarcali di una cultura sopravvivano al tempo, ai soldi, agli ideali e all’istruzione, e si sentano in diritto di prendere il controllo del destino della ragazza a partire dalla sua intimità. Su questo aspetto in particolare, l’esordiente Kamir Ainouz conduce la messa in scena con aspra convinzione, anche per mezzo della sua meravigliosa protagonista, Zoé Adjani (nipote di), che incarna con la giusta furia lo scontro fra i generi e le generazioni e la visione della sessualità come arma, a doppio taglio, di oppressione e liberazione. Honey Cigar è un ottimo romanzo di formazione, ricco e argomentato, ma non si limita ad essere solo questo. È anche un’occasione per riflettere sulla stagione nera attraversata dall’Algeria nei primi anni Novanta, quando le frange dell’islamismo hanno preso progressivamente controllo del paese. È una visione di riflesso, elaborata attraverso l’esperienza diasporica di una élite che osserva la situazione precipitare dall’agio tormentato di un grande appartamento nel quartiere più ricco di Parigi. Ma è proprio questa prospettiva distante a donare complessità e problematicità al racconto e alle sue riflessioni e, di conseguenza, al ritratto vibrante di questa giovane donna in fiamme.
