Drammatico, Recensione

HOMECOMING (2004)

Titolo Originale
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2004
Durata104'

TRAMA

Newport, Oregon. In una città sulla costa, Jeff e sua moglie Mattie lavorano insieme per far fronte alle difficoltà economiche. Uno dei loro figli, Chris, è disoccupato; l’altro, Steve, è lontano a prestare servizio militare. Chris è lezioso e inconcludente, Mattie forse beve di nascosto, Jeff lavora incessantemente. Chris, affidato ai servizi sociali, è lasciato da Jamie, la sua ragazza. Jeff annaspa per stare a galla. Steve è rimandato indietro in una “bara provvisoria”. Dopo il funerale la famiglia si riunisce, e un colloquio rivela che Chris è figlio di un precedente matrimonio di Jeff. Durante una riunione, Chris scoppia a piangere ed è consolato dall’assistente sociale. Mattie e Jeff sono distrutti dal dolore e non riescono a reagire. Chris va a casa dell’assistente sociale e ne è attratto, poi torna da Jamie per tentare di rinsaldare la loro relazione. Lei partecipa alla tragedia della morte di Steve ma lo rifiuta, dicendogli che “sta bene da sola”. Chris si getta da uno scoglio, e Mattie e Jeff devono celebrare un altro funerale.

RECENSIONI

Jon Jost Fahrenheit

Jon Jost è più un'artista che un cineasta. Da sempre sperimentatore (ha al suo attivo installazioni e opere pittoriche) e impegnato politicamente e in campo sociale, ha raggiunto l'apice della popolarità nel 1990 con "Tutti i Vermeer a New York". Da qualche anno si dedica solo al digitale e alle sue molteplici possibilità espressive. In "Homecoming" riversa tutta la sua rabbia nei confronti delle istituzioni soffermandosi sulla mestizia di una famiglia che vive a Newport, lungo le coste dell'Oregon. Un figlio è militare in Irak, un altro non lavora ed è affidato ai servizi sociali, la madre ha un conto in sospeso con l'alcolismo e il padre vive senza prendere mai coscienza di una solida ottusità. L'infelicità è ovviamente dietro l'angolo e non tarderà ad aprirsi un varco. Il digitale ben si adatta alla dolente descrizione della provincia americana ed è apprezzabile una voce furiosa fuori dal coro (o, perlomeno, dentro un più ragionevole coro), ma il cinema  per arrivare allo spettatore, cosa che data l'urgenza della tesi da esporre sembra stare molto a cuore al regista, ha bisogno di una commistione di elementi (chiamiamola "magia"?) che Jost non riesce e non prova nemmeno ad armonizzare. Soprattutto la prima parte è noiosa come poco altro e si fonda su lunghi piani fissi fotografati malamente e recitati peggio (l'unico a salvarsi è l'attore che interpreta il padre) che, più che connotare l'ambiente, tediano in modo estenuante lo spettatore. Quando il film finalmente decolla, o perlomeno prova ad affidarsi a un minimo di narrazione e ad accantonare l'improvvisazione, il post "11 settembre" di Jost si traduce in una serie di sfighe che banalizzano non poco il già didascalico soggetto. Originali i titoli di coda con i protagonisti in lacrime accanto al proprio nome. Curiosità: nella serata di presentazione al Festival di Venezia circa il sessanta per cento del pubblico ha abbandonato la proiezione prima del termine; del rimanente quaranta per cento, circa la metà ha trovato rifugio in un tonico, e talvolta rumoroso, sonno ristoratore.