TRAMA
L’ascesa al potere di Hitler, da imbianchino a Cancelliere.
RECENSIONI
Terza tappa di una trilogia storica tedesca, dopo Ludwig - requiem per un re vergine e Karl May, è una riflessione (di sette ore) fra il documentario e il teatro brechtiano, la provocazione visionaria di Ken Russel e la fantasia di Méliès, l'aggancio all'attualità in stile Nouvelle Vague e l'esibizionismo intellettuale. Un tomo teutonico? No, se si considera che Syberberg, con coraggio e determinazione, esula da qualsiasi retorica moralistica, non mistifica i fatti ed il personaggio e, nell'unire frasi liriche, profilmici simbolici e foto a colori sui fondali, stimola le associazioni. Il sottotitolo recita "Dal frassino cosmico alla quercia di Goethe": Syberberg vuole riportare l’oscuro periodo storico nella sua giusta scala ottica, attraverso la cosmologia. L'universo è come una goccia, una molecola di un universo ancor più grande. Hitler non è stato un mostro autarchico, bensì una proiezione del popolo; per dare una chance a noi dobbiamo darla anche a lui, e scoprire (in questa visione cosmica, allargata) che di "uomo nero" nella Storia non c'è stato solo lui: basti pensare a Stalin, allo sterminio degli indiani d'America, al colonialismo inglese e così via. Nell'analizzare lo "spirito germanico" di quel periodo, Syberberg nota che tutta la Storia dell'uomo ha visto opporsi i poli della fede e della miscredenza, ed è stata la fede in un "Sacro Graal" a rovinare il paese, i sogni sui miti e le leggende romantiche l’hanno inebriato di tragica onnipotenza. Sul banco degli imputati non c’è solo il personaggio che è diventato "l'emblema della cattiva coscienza dei sistemi democratici". In quest'ottica di collegamento concentrico, la religione del male di quest'anticristo ha lasciato la sua eredità: era un cinefilo, un artista piccolo-borghese votato alla politica, l'esecutore perfetto del modello occidentale basato sulla cultura di massa, il socialismo, la tecnica e la paura del diavolo. Ci ha lasciato la democrazia, l'impero del denaro, il materialismo, quei manichini di plastica liquefatta che oggi propugnano un cinema commerciale e sono contro la Cultura, sono i figli dei censori di Stroheim, Eisenstein, T. Mann. Il burattino di Hitler cambia uniforme ma non sostanza. Burattini, manichini e cartonati sono, infatti, i comprimari di una pellicola inutilmente chilometrica (si ripete, si dilunga), più teatrale che cinematografica: la macchina da presa è fissa su dei palchi che mutano solo la scenografia e gli attori eseguono degli "entr'acte", rivolgendosi al pubblico, leggendo, declamando, abusando delle voci fuori campo. Eppure il colto Syberberg, con il suo sarcasmo, il suo originale punto di vista, sa affascinare a livello intellettuale e figurativo, soprattutto nelle prime due parti, deliranti ed inventive.