Recensione, Thriller

HIGHWAYMEN (2004)

Titolo Originale
NazioneCanada
Anno Produzione2003
Genere
Durata80'
Fotografia
Montaggio
Musiche

TRAMA

Un pirata della strada travolge sua moglie. Sono due anni che gli dà la caccia: ora sa che è un serial killer disabile. Protegge una ragazza che è l’unica vittima scampata dal folle.

RECENSIONI

Un maniaco sfreccia per le sterminate highway americane a caccia di giovani donne da investire con la sua auto; il marito di una delle vittime è sulle sue tracce da cinque anni. Inevitabile che i loro destini si incrocino. Il non particolarmente prolifico Robert Harmon torna alle origini della carriera e confeziona un road-thriller che ricalca le atmosfere polverose e venate di horror del suo riuscito "The Hitcher". Peccato che la regia, non particolarmente efficace ma con qualche buon momento (vedi l'incidente nel tunnel), sia al servizio di una sceneggiatura disastrosa, somma di luoghi comuni, situazioni prevedibili e personaggi inesistenti (su tutti il "Cicciobello" nero). Numerosi i rimandi cinematografici, da "La macchina nera" a "Duel" passando per la morbosa attrazione verso la carne e l'acciaio di "Crash". L'assenza di originalità non sarebbe un problema se il film riuscisse comunque a coinvolgere e a mantenere il minimo di tensione richiesto dal genere. Invece la vicenda scorre piatta e priva di mistero, svelando tutto e quasi subito. In particolare si preoccupa di motivare azioni e psicologie, ma lo fa malamente. Il conflitto si riduce infatti a un routinario regolamento di conti con annesso, addirittura, doppio trauma da rimuovere, senza che i personaggi riescano a uscire dall'ovvietà per entrare nel mito. Più degli interpreti (James Caviezel non ancora Cristo per Gibson ma già incolore, Rhona Mitra, graziosa ma troppo solare per la parte, e Colm Feore, ormai abbonato a ruoli da iper-cattivo), spicca l'espressività delle due vere protagoniste: la Plymouth Barracuda del 1968 e la Cadillac Eldorado del 1972, che in più di una sequenza rubano la scena agli scialbi attori in carne ed ossa.
Senza attenuanti la stupidità del finalissimo.