TRAMA
In un villaggio della Slesia semi-disabitato dopo la chiusura delle numerose fabbriche, la miniera è rimasta l’unica fonte di lavoro, e ognuno si arrangia come può. Il padre del piccolo Maly muore misteriosamente (il corpo non viene ritrovato) e la vecchia leggenda dell’uomo-iena che uccide e seppellisce le sue vittime per farne marcire le carni torna nuovamente sulla bocca di molti.
RECENSIONI
Pasticcio polacco
Atmosfere di cupezza urbana alla Roman Polanski, il tocco favolistico dei fratelli Grimm e l'incursione della modernità con il maglioncino a righe e il viso deturpato di Freddy Krueger. Si presenta così l'opera del polacco Grzegorz Lewandowski, autore prevalentemente per il piccolo schermo al suo debutto nel cinema. Un occhio puntato al genere, che mira al thriller/horror, e l'altro a un sottotesto che prova a dire altro. Il percorso del giovane protagonista, abitante di un villaggio della Slesia popolato di figure simboliche (la mamma assente, la bambina bionda ammalata di tubercolosi, il poliziotto, l'uomo sfigurato, il gelataio, il postino, il "matto del paese"), è probabilmente quello della crescita. Ma il condizionale è d'obbligo perché il film non offre particolari appigli all'interpretazione. Diciamo che l'aria allusiva che si respira potrebbe riferirsi alla fine dell'infanzia. Un'anticamera dell'adolescenza nella difficile fase in cui le certezze vengono meno, la consapevolezza della propria natura prende piede e l'incubo pare un approdo naturale. In questo senso il film ricorda il bellissimo e senza speranza "Riflessi sulla pelle" di Philip Ridley, ma non ne possiede la visionarietà e la capacità, in effetti rara, di conciliare livelli narrativi differenti. Sta di fatto che "Hiena" finisce con il mostrare debolezze su tutti i fronti: l'angoscia resta nelle intenzioni, di paura neanche a parlarne (un unico salto sulla poltrona è causato dalla solita apparizione improvvisa accompagnata da uno stacco sonoro spacca-timpani), la suggestione latita, i trucchi visivi mostrano limiti evidenti e la metafora si carica di grevità che rendono la trasversalità dell'assunto (culturale? sociale? forse politico?) alquanto imperscrutabile.
