TRAMA
Giunto sulla Terra ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando i nazisti prossimi alla sconfitta si sono rivolti al mago Rasputin per evocare forze infernali, Hellboy è destinato a portare la fine del mondo. Non la pensa però così il suo padre adottivo, il Professor Bruttenholm, che l’ha educato per fare di lui il principale agente del BPRD, l’organizzazione di ricerca e difesa contro le minacce soprannaturali. Eppure i presagi si accumulano e la potentissima strega Nimue, tradita da Re Artù secoli fa e ora assetata di vendetta, è prossima a tornare e per fare di Hellboy il proprio Re e regnare su un mondo invaso dai demoni.
(da Wikipedia)
RECENSIONI
Chi è Neil Marshall? Forse un regista a suo modo sottile che non guarda troppo per il sottile, che va dritto al punto abolendo qualunque fronzolo. Dog Soldiers era un folle action/horror che manteneva il curioso assunto iniziale (soldati contro licantropi) dall’inizio alla fine, senza deviazioni. The Descent un capolavoro horror naturalmente (al) femminile senza diventare necessariamente femminista, claustrofobico in tutto e per tutto. Operazioni meno riuscite sono le ultime due fatiche di Marshall, Doomsday (spiazzante meta-catastrofico virato al trash) e Centurion (interessante ma irrisolto film di Storia, Caccia e Inseguimenti), che però palesavano e in qualche modo perfezionavano l’amore del regista per il B-Movie (e per la crudeltà – non solo - grafica).
Il reboot di Hellboy parte forse da lì. Dal B-Movie libero e caciarone, intriso di quella sfrontatezza e di quella violenza che la serie A non può permettersi. L’Hellboy di Marshall (film e personaggio) è viscerale e sguaiato, con vette di violenza splatter del tutto estranee alle grandi cine-comic-produzioni contemporanee. Da questo punto di vista, tutto sommato adeguato e coerente sembra l’utilizzo di una CG datata di almeno 2-3 lustri, che ricorda, concettualmente, l’anacronismo effettistico tipico degli horror minori (basti ricordare il Passo Uno zoppo del The Gate di Tibor Takàcs, imbarazzante già nel 1987) che in qualche modo aggiungono fascino vintage e “fanno simpatia” (benché siano meno efficaci delle gustose parentesi animatroniche, si veda il cosmeticamente riuscito personaggio di Gruagach).Meno semplice da accettare e giustificare risulta invece una scrittura caotica e incoerente, a tratti inintelligibile, che sembra rallentare, accelerare, dare per scontato e omettere senza soluzione di continuità. Difficile valutare l’incidenza della supervisione di Mike Mignola himself ma lo script di Andrew Cosby dà l’impressione di condensare troppo materiale, proponendosi come una obliqua origin story che butta nel calderone Hellboy in Messico, La caccia selvaggia, La tempesta e la furia e Il richiamo dell’oscurità, senza riuscire a dare organicità e coerenza interna al tutto. E’ forse questo il (non trascurabile) limite principale di un film altrimenti godibile ma sicuramente, velocemente dimenticabile.