Fantascienza, Recensione

HELLACIOUS ACRES: THE CASE OF JOHN GLASS

Titolo OriginaleHellacious Acres: The Case Of John Glass
NazioneCanada
Anno Produzione2011
Durata108'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

John Glass si sveglia in un desolato fienile, dopo un lungo sonno criogenico, per essere informato non solo che il pianeta è stato devastato da una terza guerra mondiale ma anche che la sua abitabilità è stata ridotta da una successiva invasione aliena … Egli scopre che – al fine di ristabilire un’atmosfera vivibile per ciò che resta dell’umanità – dovrà andare in missione solitaria a recuperare importanti codici dispersi in postazioni remote. Ben presto incontrerà più di quanto si “aspettasse”: alieni, sopravvissuti pazzi, attrezzature inadeguate, molto da camminare e una dose abbastanza malsana di sfortuna …

RECENSIONI

Il canadese Pat Trembley non è solo regista e produttore del film, ma si è occupato pure di montaggio, effetti speciali, fotografia, sceneggiatura e scenografia. Con il minaccioso interrogativo “Vi piacciono i film lunghi, lenti e faticosi?” il factotum Pat ha presentato la sua opera al Ravenna Nightmare Film Festival, ricordando anche la vena comica che attraversa la pellicola e il suo apprezzamento per il cinema italiano di genere degli anni Settanta, con una particolare predilezione per I nuovi barbari di Enzo G. Castellari, a suo dire grande fonte di ispirazione. La visione conferma l’attenta disamina di Trembley e fa comprendere appieno il suo mettere le mani avanti. Piuttosto difficile, infatti, appassionarsi, empatizzare o anche solo provare interesse per le gesta antieroiche dello sventurato protagonista John Glass, un uomo costretto a vagare in un nulla post-atomico dentro a una sorta di scafandro protettivo, alla ricerca di misteriosi codici in grado di ridare al pianeta la possibilità di essere vissuto. Gli ostacoli narrativi e visivi che lo spettatore incontra, e non riesce a superare, sono tanti. Prima di tutto la scelta di non mostrare mai il volto del protagonista, ricoperto da una maschera protettiva che ne nasconde i connotati e lo trasforma in una sorta di Megaloman canadese. Non aiuta nemmeno l’assenza di personaggi di contorno degni di nota. Il confronto con la voce elettronica che dovrebbe guidarlo la butta sul nonsense, con slanci comici che cercano di alleggerire la drammaticità del contesto e le situazioni puntano sul beffardo (gli inconvenienti del teletrasporto, la defecazione dallo stesso tubo da cui ci si alimenta, l’imbranataggine). Non prendersi troppo sul serio, però, non è sufficiente senza mezzi adeguati (gli effetti speciali sono risibili) e in mancanza di idee convincenti e ben articolate in grado di supplire alla carenza complessiva dell’impianto. La desaturazione esasperata delle immagini pare più una necessità per supplire al budget risicato che scelta artistica. La scarsità di eventi significativi, lo straniamento e la desolazione del protagonista, sono aspetti interessanti, ma non sono supportati da sufficiente materia narrativa, dalla destrezza nel rendere pieni i vuoti, dalla capacità di donare organicità alla struttura. Alla fine prevale il frammento sull’insieme, tanto che si potrebbe pensare a una visione diradata, in grado di valorizzare le singole gag dando così maggiore incisività e pregnanza al difficile soggetto. Tutto d’un fiato, invece, gli sviluppi aggiungono poco alle premesse e a dominare è un approccio, anche originale e sfidante, ma esageratamente amatoriale e scombiccherato.