TRAMA
Torino. Un’ insegnante di inglese (Cate Blanchett) da poco vedova commette un attentato bombistico per vendicare la morte del marito. Qualcosa però va storto e uccide quattro innocenti, mentre la vittima predestinata resta incolume. Viene catturata, durante l’interrogatorio un carabiniere (Giovanni Ribisi) traduce le sua dichiarazioni. Si innamorerà di lei e farà di tutto per aiutarla.
RECENSIONI
Arriva anche da noi “Heaven”, attesa operazione fantacinematografica di cui tanto si era parlato negli ultimi mesi. Si sapeva infatti di alcune sceneggiature rimaste irrealizzate scritte dal defunto Krystzof Kieslowsky in collaborazione con il suo sceneggiatore Krystzof Piesiewicz per una supposta trilogia (Paradiso, Purgatorio, Inferno). Quello che invece non ci è dato sapere è come la sceneggiatura sia finita nelle luride mani di Tom Twyker (“Lola corre”), che con un candore disarmante riesuma e strazia il cadavere e la memoria di Kieslowsky con la furia e la perizia di un consumato necrofilo. Francamente era dai tempi di “Blow” di Ted Demme (R.I.P.) che il cinema non scendeva a livelli tanto infimi (ma saremo abbastanza lungimiranti da non sottoporci la visione dell’ultimo Zeffirelli),. Partiamo dalla geografia. La Torino di Tom Twyker è a tutti gli effetti una città molto interessante per il fatto che, da buon videoclipparo quale è, ha scoperto (probabilmente arrivando in aereo per i sopralluoghi) che inquadrandola dall’alto si può facilmente ottenere un simpatico effetto geometrico dovuto alla perpendicolarità delle strade del centro. Questo per quanto riguarda l’aspetto visivo, ma Twyker si premura di offrire anche un tocco di humor e folklore per dare allo spettatore le giuste coordinate per mettere a fuoco lo scenario il cui si svolge il film, Torino, l’Italia. Allora ecco che ci vengono mostrati (dal nulla) un uomo nerboruto e una panettiera che scopano su un camioncino nel cortile retrostante la panetteria. Per non parlare delle inquadrature ariose e zigzaganti sul treno che attraversa le colline toscane (per Twyker qualsiasi cosa ripresa dall’alto o dal basso produce un notevole e significativo non meglio identificato effetto visivo) e le disarmanti sequenze di un matrimonio all’italiana in quel di Montepulciano. Al momento non ci è ancora dato sapere se il film verrà distribuito nella versione originale o doppiato. La logica (cosa alla quale la potentissima lobby dei doppiatori italiani è totalmente estranea per scelta e tradizione) vorrebbe che non fosse doppiato visto che il film è in gran parte parlato in italiano ad eccezione di quando Ribisi traduce la testimonianza di Cate Blanchett. Il problema è che dovendo Giovanni Ribisi interpretare il ruolo di un carabiniere italiano ma non essendo in grado di parlare un italiano corretto, gli sono state affidate soltanto una serie di microbattute monosillabiche che confinano il suo personaggio alle soglie dell’autismo (ma comunque nessuno degli altri personaggi è stato minimamente caratterizzato). Difficile credere che un personaggio tanto insulso possa essere uscito dalle penne di Kieslowski e Piesiewicz, perché a voler essere precisi tutta l’arte attoriale di Ribisi (per quanto riguarda il parlato, visto che mantiene intatta per tutto il film la stessa faccia da scemo dall’indubbio effetto comico, scuola Jimmy il Fenomeno) è qui espressa dalle seguenti battute: “Si”, “No”, “Ti amo”, “Mi chiamo Filippo”, “Vorrei un diuretico”. Il tutto recitato con un’inquietante voce metallica. Inutile dire che ai cultori dell’hard trash consigliamo la visione dell’originale, a costo di dover attendere il dvd. Ci sarebbe ancora da dire dell’agghiacciante segmento finale, culminante in una delle scene d’amore più imbarazzanti della storia del cinema, che probabilmente sfigurerebbe anche in un videoclip di Laura Pausini. Ribisi (ci piace ricordarlo nei panni dell’indimenticabile fratello scemo di Phoebe, in “Friends”) e la Blanchett (nel frattempo rasati a zero e quindi pressoché indistinguibili l’uno dall’altro) si fronteggiano nudi, in cima a una collina (toscana, però), sotto un albero, ripresi dall’alto, ridotti a due silhouette nere mentre intorno a loro tutto si colora di arancione. Da condanna all’ergastolo. Non ci resta che sperare che la famiglia Kieslowski intenti causa a Twyker per diffamazione, perché questo film francamente rischia di gettare una macchia indelebile sulla carriera dell’incolpevole regista polacco per il solo fatto che il suo nome vi sia in qualche modo associato.
