HAZE – IL MURO

Anno Produzione2005

TRAMA

Un uomo si trova inspiegabilmente intrappolato in un sotterraneo che per le sue ristrettissime dimensioni ne imprigiona i movimenti e ne impedisce la fuga.

RECENSIONI

Cortometraggio inserito nel progetto Digital Short Films by Three Filmakers accanto al trascurabile Magician[s] di Song Il-gon e a Wordly Desires di Apichatpong Tropical Malady Weerasathakul, dal metalinguismo ai limiti dell’irritazione cutanea.

“Con il tempo la tecnologia si è evoluta a un punto tale che il video digitale può sostituire il film. Credo che questo mio breve film rappresenti il modo più semplice e più forte di esprimere la condizione di lotta dell’uomo nell’era contemporanea”. Al di là di queste parole tutt’altro che di circostanza da parte dell’autore rimane la convinzione che Tsukamoto, digitale o analogico che sia, ci consegni solo opere di grande rilievo estetico.
Haze
 nei suoi ventotto intensissimi e inesorabili minuti, sorta di spietato countdown che ci attende già dai primi secondi a una fine disperata, misura cronenberghianamente il dolore di una metafora viva, materica, del transito inopportuno dal linguaggio al corpo (ai corpi, anche, e forse soprattutto,  quelli inorganici). Haze è la foschia, ma anche il sostrato brumoso che annebbia la mente gettandola in uno stato di confusione cerebrale (probabilmente il riconosciuto non sequitur tra corpo e linguaggio, tra pensiero e materia, tra sogno e realtà), è fondamentalmente il confine tracciato mediante asfittiche e minacciose geometrie della filmabilità e dunque della rappresentabilità di uno sprofondamento psichico negli impervi meandri dell’inconscio per il quale riemergere può significare riattingere una dimensione ancor più lancinata e soffocante di quella respirata dentro l’inevadibile e fondamentalmente incubale labirinto della psiche.