TRAMA
Henry si risveglia, senza memoria e senza voce, in un laboratorio dove Estelle, sua moglie, lo cura/ricostruisce (gli applica delle protesi robotiche al posto di una gamba e di un braccio perduti). Improvvisamente, irrompe il villain telecinetico Akan…
RECENSIONI
Com’è noto, il primo tentativo di girare un film (quasi) interamente in soggettiva è di Robert Montogmery: Lady in the lake (1947). Scrivo “tentativo” non perché il progetto non sia andato in porto ma perché, com’è altrettanto noto, il risultato fu/è un po’ straniante. La teorica sovrapposizione dello sguardo del personaggio a quello dello spettatore, infatti, privata del controcampo oggettivo, non portò affatto a una piena immersione dello spettatore nella storia ma, al contrario, a una sua esclusione dall’universo diegetico, figlia di una costruzione artificiosa e per certi versi imbarazzante, con i continui sguardi in macchina degli altri personaggi che non facevano altro che annientare la sospensione dell’incredulità. Non è un caso che il tentativo sia rimasto un caso sostanzialmente isolato, se si eccettua La donna proibita (1997) di Harrell e, volendo, tutti i mockumetary / found footage da Cannibal Holocaust in poi, per i quali, però, il discorso vale fino a un certo punto (di fatto, l’immedesimazione è con una macchina da presa / videocamera, non con un personaggio, l’artificio è manifesto dunque più paradossalmente efficace).
La cosa interessante, invece, che ci porta dritti ad Hardcore!, la fece Andrzej Barkowiak col suo Doom (2005). Interessante perché, quella manciata di minuti soggettivi nel finale, non aveva l'ardire di immergere lo spettatore nella storia, ma di sovrapporre i medium videogioco/cinema, almeno da un punto di vista strettamente estetico. Anche perché, chiunque abbia giocato a qualche first person shooter alla Doom sa benissimo che la visuale in prima persona non risponde a criteri "immersivi" ma è un semplice espediente per giocare/sparare da un punto di vista privilegiato, spettacolare e divertente. Ecco, si potrebbe dire che Ilya Naishuller sia partito - più o meno - da lì, da quella sequenza action di Doom e l'abbia dilatata fino a renderla coestensiva al film. Consapevole delle insidie che si celano nel tirare il (video)gioco per le lunghe, il giovane regista russo ha contenuto il minutaggio e ha infarcito il film di azione, annullando quasi del tutto le zone morte e riducendo i dialoghi al minimo indispensabile. Di più: ha giocato sugli eccessi, anche grafici, abbondando con gli effetti splatter. Il pericolo stanchezza/ripetitività, ahinoi, non è però scongiurato. Si arriva allultima mezzora un po' stremati. Ma non si può dire che Naishuller non ci abbia provato, con una certa cognizione di causa.
I riferimenti ai videogiochi sono talmente fitti da rendere improbo qualunque tentativo riepilogativo. Gli sparatutto in prima persona vengono chiamati in causa un po' tutti, ma almeno F.E.A.R. e Duke Nukem vanno citati. Oltre ai vari Call of Duty. Ma ci sono echi anche di non-fps come Assassin's Creed (l'incipit del primo capitolo della serie) e un sacco di altre cose impossibili da elencare. Paradossalmente, però, a fronte di una innegabile competenza videoludica, un aspetto in cui Hardcore! non sembra molto a fuoco è proprio la riproduzione/riproposizione dell'estetica dei videogiochi che mixa, nei quali l'intelligibilità dell'azione è la conditio sine qua non. Nel film, invece, la probabilmente intenzionale "confusione visiva" dovuta all'utilizzo della GoPro, aggancio all'hic et nunc dell'iconosfera contemporanea (non solo video ludica) rende spesso l'azione indecifrabile, con evidenti stacchi di montaggio mascherati (male) che tolgono coesione all'insieme (gli sparatutto in soggettiva moderni sono, per converso, lunghi piani sequenza baciati dalla fluidità dei 60 fps). Nel loro piccolo, i 4 minuti abbondanti del citati Doom erano molto più credibili, da questo punto di vista.
Quello di Ilya Naishuller rimane comunque un piccolo film-sfida simpatico, riuscito a metà ma sporadicamente divertente, onesto con il suo pubblico e modesto nelle ambizioni. Se il background di chi guarda è quello giusto, e si chiude un occhio tra uno sbadiglio e l’altro, può anche piacere.
Il titolo, oltre al significato immediato e generalista, ne cela probabilmente un altro, di stretta pertinenza videogiocosa: gli hardcore gamers sono infatti i giocatori “vecchio stile”, che amano le sfide, i giochi difficili e snobbano i casual gamers moderni, privi di cultura videoludica e attratti da giochi fruibili e immediati, che non richiedono particolare abilità o impegno.