- 66448
TRAMA
Tre sorelle, la famiglia ed altri pazzi.
RECENSIONI
Solondz non concede respiro e le risate che scappano di gola sono rantoli ben più che liberazioni. Alla pari di Michael Tolkin (Sacrificio Fatale, The New Age) costruisce accurati vetrini su cui veder muovere un branco di bipedi implumi variamente disfunzionali, senza pietà né disprezzo e con buone dosi di ironia "clinica": che non tutti gli esseri umani siano così deve essere subito chiaro, almeno quanto il fatto che è difficile spesso discernere le zone d'ombra della nostra civiltà. Ogni evento è pronto a deragliare nello shock più profondo ma non è la famiglia ad essere culla di tutti i mali, questi ci sono, dentro ognuno e nei rapporti umani si mostrano nelle forme più insostenibili. Joy, Helen, Bill, Allen, Kristina ed ognuno degli altri personaggi secondo dettagliate specifiche sono componenti medi della socialità, ognuno con uno specifico apparato di presentazione (abbigliamento, espressioni facciali, andatura) pronto a sgretolarsi, la sessualità diviene emblema del loro modo di rapportarsi col mondo. Nelle sequenze iniziali tutto è dichiarato: durante la seduta di psicanalisi Allen, burocrate sudaticcio, descrive con dovizia di particolari la violenza con cui sogna di compiere atti sessuali, nel frattempo nella mente dell'analista seduto compostamente sulla sua poltrona con tanto di blocchetto per gli appunti, scorre la lista della spesa. Le finzioni della quotidianità, degli assunti culturali (Joy chiede al tassista russo della sua patria e questo risponde: "Fuck the cunt of Russia!", lei non può opporre che " Well, I guess it's better to feel that way") ed erotici scivolano sul difficile confine tra l'impossibile/inatteso e l'intollerabile: il finale che pare liberatorio in questa chiave si presenta solo come la perpetuazione delle tare moderne, o forse solo umane. La scrittura di Todd Solondz è acuminata e molto varia nei registri (si pensi allo straziante, non c'è altro termine, ultimo dialogo tra padre e figlio) e la sua gestione registica inappuntabile: proprio questa precisione attuativa è stata additata come semplicistica visione del mondo, come determinismo da quattro soldi, tanto che il successivo Storytelling dedica l'intera prima sezione a mettere in scena questo dibattitto, ma è evidente la strenua tensione del regista alla resa della complessità emozionale. Cosa che certo non si può dire di (pur) bei teoremi come Funny Games.
