TRAMA
Nishi è un poliziotto violento e taciturno; sua moglie è malata terminale ed il suo miglior amico e collega Horibe viene ferito e rimane paralizzato durante una caccia all’uomo in cui un giovane della loro squadra muore. Chiede un prestito alla Yakuza e per onorare il debito rapina una banca ed inizia un viaggio con la moglie.
RECENSIONI
La poesia in Kitano sgorga dalla roccia; lampi di luce e colore, fiammate sulla neve, ideogrammi che fioccano come bianchi petali; umorismo leggero, fisico anche brutale ma spontaneo. In quadri di bruciante splendore si stilizza, in cristalli, la visione creativa di un cineasta fuori dagli schemi che, coadiuvato da Joe Hisahishi per le musiche e Yamamoto per la fotografia, costruisce il proprio canone di bellezza come una sinfonia moderna: rotta, a temi ritornanti, truculenta ma percorsa da un senso netto della bellezza, delle immagini, del sentimento. La parola, quasi bandita dalla maschera di "Beat" Takeshi (il Kitano attore), è mezzo di falsificazione, utile per gli affari e solitamente inganno degli stupidi - che abbondano nei suoi film - sono gli oggetti, immobili ma vivificati da rari ed ineguagliabili, netti movimenti di mdp (si contano due dolly, per lo più gioca su rotazioni, viluppi, memorabile la rotazione di 720° sulla neve), i gesti, le azioni più insignificanti a caricarsi di senso attraverso ellissi inaspettate, quasi da cinema muto. E' il momento l'unità di misura, dilatato in ralenti infiorescenti nel sangue, in inquadrature statiche che rompono la direttrice di sviluppo narrativo nella memoria e nella pre-visione. Lucido e nitido viaggio verso l'annullamento, la fuga - molto sui generis - di Nishi con la moglie è una rincorsa al sentimento, attraverso il recupero della emozione comune, per quanto spicciola (il gioco delle carte, i fuochi d'artificio, il tangram), in cui il gusto del contatto di sentimento è lo svelarsi della realtà della reciproca comprensione, del compatimento. La violenza è in questo senso misura della vita, ne è difesa contro gli idioti yakuza - con le loro regole d'onore ridotte a stereotipo - ma soprattutto è squarcio dello stupore sulla realtà di un'esistenza persa che non si ha timore di abbandonare di fronte ad una pistola, ma che si ritrova, per un breve attimo, il tempo di un sorriso che scappa, il volo di un aquilone con le ali strappate, in un percorso nella tradizione e nella natura, fino al mare, luogo della vita ma soprattutto palpitante cuore della morte. Tutto il soffrire si disperde in un lampo, pistola o fuoco d'artificio, non conta; liberi da ogni vincolo di socialità sbocciano l'amicizia, l'amore, la dolcezza con candido nitore, una risata mal trattenuta. Primo film di Kitano a godere di una degna distribuzione in Italia, Hana-Bi vince il Leone d'oro a Venezia come miglior film ed è bellissimo, non facile alla prima visione, non tutto torna subito ma si può comunque essere abbagliati. Tutti i quadri e disegni che compaiono nel film sono opera dello stesso Kitano.
Come il puzzle con i pezzi di legno con cui si dilettano moglie e marito protagonisti, i "Fuochi d'artificio" di Kitano faticano ad assumere una forma, sperimentano tutta la contraddittorietà di un'esistenza dolorosa che, all'incanto di uno sguardo sul mare e la natura, giustappone improvvise esplosioni di violenza. La vita è spesso un ossimoro ed il peso della sofferenza non fa proferire inutili parole (Kitano e moglie silenti) sovrastate, prima o poi, dal sangue (vedi il dipinto con ideogrammi innevati e cosparsi di rosso). Al bianco e nero, l'autore giapponese preferisce tutta la gamma dei colori, prossimi alle sfaccettature sfuggenti di un'esistenza dove, seppure è vano bagnare dei fiori completamente appassiti (la leucemia, la paralisi delle gambe, la violenza che ti perseguita), è altrettanto legittimo rompere il muso a chi ci ricorda questa verità e si arrende in partenza. Allegorie, flashback, straniamento, ermetismo, ellissi, poesia, tenerezza, sangue, ilarità. Nel caos (della vita, della struttura filmica) Kitano lancia un messaggio di speranza disegnando (lui stesso) strani mutanti, composti d'animali e fiori che, nella loro matrice assurda, racchiudono il segreto della serenità (o della serena accettazione dell'assurdo). I dipinti dell'amico paralizzato fanno da contrappunto alle azioni dell'ex-poliziotto, i "bellissimi mostri" schizzati insegnano, invece, la convivenza con gli opposti che incombono e trasfigurano sotto i nostri occhi: da un taxi può saltare fuori un'auto della polizia, da un poliziotto lo Yakuza, da una rapina una buon'azione, da un aspirante suicida ispirate opere su tela, dalle pallottole omicide dei divertenti fuochi d'artificio. Il personaggio interpretato da Kitano non è un duro, è un leone dormiente che non va svegliato: nella scena in cui non batte ciglio di fronte alla pistola, non dà una prova di coraggio ma di distanza alienata e depressa. Un'opera che vive di tesi ed antitesi e si chiude con uno sguardo straziato e stranito su di una spiaggia dove l'aquilone non vuole volare e due colpi di pistola "off" ammantano d'ulteriore mistero una soluzione che non c'è. Leone d'oro a Venezia.