Drammatico, Sala

HAI PAURA DEL BUIO

NazioneItalia
Anno Produzione2010
Durata90'
Sceneggiatura
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Eva, operaia a Bucarest, dopo il mancato rinnovo del contratto decide che è giunto il tempo di partire. La sua meta è Melfi, nel sud Italia. Trovata ospitalità da Anna, una sua coetanea che lavora alla FIAT, Eva inizia a seguire una donna con cui sembra intrecciare un misterioso legame.

RECENSIONI


Ci sono film che crollano sotto il peso delle intenzioni. È il caso dell’opera prima di  Massimo Coppola che parte da premesse reali (il disagio di chi fugge dal paese in cui è nato per cercare una vita migliore all’estero) per approdare a una sorta di incrocio tra il dramma familiare, il racconto di formazione, la critica sociale e l’impegno civile. Un insieme mai davvero efficace. I problemi derivano soprattutto dalle caratterizzazioni dei personaggi, troppo forzate nel distaccarsi dalla logica, e dalla concretezza del quotidiano, per risultare vive e pulsanti. Vada per la romena di buon cuore e volenterosa che fugge da Bucarest, arriva a Foggia e si rifugia in un’auto aperta per dormire. Ma come credere alla ragazza introversa operaia alla Fiat, che di quell’auto è proprietaria e quando trova che una ragazza straniera ci sta dormendo dentro la invita pure in casa, e la lascia anche da sola a riposare mentre i genitori e la nonna stanno dormendo? Sullo schermo, come nella vita, tutto è possibile, ma occorre la capacità di rendere viva un’idea attraverso una costruzione sensata. Ci si domanda invece perché si pieghino in modo così forzato i protagonisti della vicenda alle esigenze narrative. E il film è pieno di passaggi innaturali finalizzati a suscitare un punto di vista complice nei confronti dei personaggi e del male di vivere che li opprime. Purtroppo gli esiti sono diametralmente opposti, perché ogni sviluppo manca del necessario approfondimento e della conseguente credibilità.


Come abbandonarsi alla storia d’amore che sorge tra la ragazza romena e un improbabile operaio, al solito cattivo sfruttatore dipinto come un laido porcone, alla scelta della co-protagonista di tentare la strada universitaria per fuggire da un destino segnato, all’abbordo di un ragazzo che subito la invita a una festa, all’acquisto di un abito sberluccicante per non sopprimere la sua femminilità? Ogni sequenza porta la didascalia dello stato d’animo che intende suscitare e questo non favorisce l’empatia. Mentre la sceneggiatura affianca passaggi scontati e buttati un po’ lì (la nonna malata terminale, il padre ancorato al passato, la mamma più docile ma ugualmente remissiva) e la macchina da presa sta addosso ai personaggi cibandosi del cinema dei fratelli Dardenne, la scena clou finalmente arriva: il confronto tra la ragazza romena abbandonata e la madre cercata e ritrovata. È l’unico bagliore d’interesse in un film programmaticamente impelagato nell’indottrinamento e privo di quella verità agganciata al presente a cui pare ambire. Intensa la protagonista romena Alexandra Pirici, mentre il suo alter-ego italiano, Erica Fontana, ha presenza scenica ma non conosce le sfumature.