TRAMA
1886: Lord Clayton di Greystoke e la consorte incinta Alice naufragano in Costa d’Avorio. Alice muore di malaria, il Lord è ucciso dalle scimmie, il neonato è allevato da quest’ultime finché, una volta cresciuto, torna nella tenuta di Greystoke.
RECENSIONI
Un Tarzan (nome che non s’ode mai) cinematografico più complesso, adulto, moderno, fedele però allo spirito dell’originale (1914) di Edgar Rice Burroughs: Christopher Lambert è scritturato nell’ottica anti-superomistica e per sfruttare quel suo sguardo “perso” (innocente) da miope. Il direttore della fotografia John Alcott incanta con splendide immagini nella giungla del Camerun e in Scozia, mentre il mago del trucco Rick Baker pensa alle protesi per trasformare in scimmie gli attori. Il pubblicitario Hugh Hudson (anche produttore), reduce dal successo di Momenti di Gloria, gestisce alla perfezione commozione ed emozioni insite nel racconto, che passa dall’avventura alla commedia sentimentale, dal melodramma al fantasy, da Il Ragazzo Selvaggio al romanticismo più sfacciato, ma non dimentica un sottotesto allegorico dove Natura e Civiltà si compenetrano, dove l’essere umano perde l’innocenza e, dal Giardino dell’Eden, previa acquisizione del linguaggio, giunge alla Cultura, all’anelito della scimmia al divino. Un’evoluzione che distanzia dalla beatitudine dello stato naturale, previo incontro con il serpente (d’Arnot di Ian Holm; Eva è la Jane di Andie MacDowell, al debutto e doppiata in originale da Glenn Close): sviluppi che toccano corde inusitate, dove il Selvaggio e il Civilizzato non sono banalmente contrapposti, ma stati dell’essere che convivono in opposizione, impedendo ad entrambi di essere compiuti. Lo sceneggiatore Robert Towne, che lavorava al progetto dal 1975 e avrebbe dovuto dirigerlo nel 1977, firma con il nome del proprio cane, P. H. Vazak, non sentendosi responsabile (sua solo la prima parte nella giungla) di un prodotto finito da Michael Austin e Hudson stesso (la seconda parte, quella che si discosta di più da Burroughs). Ultimo film del grande Ralph Richardson: una prova indimenticabile in un film sottovalutato.
