Bellico, Recensione, Storico

GREEN ZONE

Titolo OriginaleGreen Zone
NazioneUSA/Gran Bretagna
Anno Produzione2010
Durata115'
Sceneggiatura
Tratto daliberamente tratto da "Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq's Green Zone" di Rajiv Chandrasekaran
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Iraq 2003. Il capitano Miller, alla (vana) ricerca di armi di distruzione di massa, identifica i responsabili del bluff. Ovviamente, non gli sarà facile dimostrare quello che sa.

RECENSIONI

L’America risorge sempre dalle proprie ceneri: questo film, prima politico che bellico (peccato per le parti enfatiche uscite dalla penna di Brian Helgeland), ricorda molto i thriller anni settanta, dove (la nuova) Hollywood metteva in scena i panni sporchi per farli, comunque, lavare da eroi casalinghi, additando da un lato la cattiva coscienza del paese e, dall’altro, preservando quest’ultimo nella certezza del lieto fine (dove la Verità salta fuori, sempre e comunque). Grazie al testo di base, il libro “Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq's Green Zone” di Rajiv Chandrasekaran, inviato a Baghdad del Washington Post, il film di Greengrass riesce a condensare in due ore “la questione irachena”, sposando la teoria (comprovata) del complotto governativo che sfruttò inesistenti armi di distruzioni di massa per giustificare l’attacco; Greengrass e Helgeland, inoltre, riescono a tradurla in un film d’azione alla Jason Bourne, in un thriller teso ed appassionante, con trame complesse ma ben dipanate, dove ogni ruolo/funzione si assume la propria responsabilità: la giornalista che pubblica, senza verificarle, le fonti (gli autori accusano la carta stampata che non ha contestato l’entrata in guerra), l’Intelligence che falsifica le informazioni, la Cia imbavagliata, il Presidente compiacente, il rappresentante del popolo, un soldato statunitense, che non vuole combattere senza causa e (segno di una maturazione culturale degli Stati Uniti da non sottovalutare) una controparte irachena che piazza (in modo anche troppo urlato) un “Non siete voi a dover decidere cosa è meglio per noi”. La “Storia” e le parti in causa sono mirabilmente richiamate senza perdere una battuta della corsa contro il tempo (contro chi insabbia), girata “alla Greengrass”, con il consueto e riconoscibilissimo stile da reportage (si è fatto le ossa con documentari in zone di guerra) che, da un lato, permette un’impressionante veridicità di messinscena (notevoli il lavoro di ricostruzione in Marocco, le scene di massa, il realismo dei conflitti), dall’altro infastidisce nel momento in cui s’affida totalmente a illuminazioni pseudo-naturalistiche, macchina da presa a mano e montaggio convulso o quando il “documento” cozza con l’affabulazione pilotata della sceneggiatura. Ciò non toglie che quest’opera, a tutt’oggi, sia la migliore del regista insieme a Bloody Sunday.