Documentario, Recensione

GREEN DAYS (2009)

Titolo OriginaleRuzhaye sabz
NazioneIran
Anno Produzione2009
Durata73'

TRAMA

Ava è una ragazza iraniana depressa. Imputando ai passati incidenti politici in Iran la causa del suo malessere, va da uno psicologo per farsi curare. Il medico le suggerisce di dedicarsi a lavori fisici e, in seguito, di lavorare a una rappresentazione teatrale. In ogni caso la commedia, ispirata alla realtà e ai problemi della società, è proibita. È il periodo elettorale, e la città ferve di possibilità. Una nuova ondata di speranza ha spinto la gente a riversarsi nelle strade per partecipare, per votare contro il presidente in carica. C’è movimento ovunque, si canta, si balla: una visione vibrante e appassionata per un futuro completamente diverso per il paese. Ma Ava non crede che il cambiamento stia per arrivare. Esce e comincia a parlare alla gente in strada, tentando di riacquistare le sue speranze.

RECENSIONI

Per quello che può fare una recensione

Ci sono casi in cui il cinema deve farsi da parte per lasciare spazio all’urgenza del contenuto. È il caso di Green Days, in cui la più giovane della dinastia di cineasti iraniani Makhmalbaf, la ventunenne Hana, esprime il suo sdegno per il recente colpo di stato che ha riportato al potere, con la connivenza della Russia, il dittatore Ahmadinjead, dopo che regolari elezioni lo avevano collocato addirittura al terzo posto con solo il 12% dei voti contro il 62% del vincente Moussavi. Instant-movie o docu-fiction che dir si voglia, il film abbina un breve lato di finzione (una ragazza esprime il disagio della condizione femminile), interviste effettuate nelle giornate precedenti alle elezioni e riprese amatoriali finite su You Tube. Tutte testimonianze della repressione in atto contro i tanti oppositori al governo che si è nuovamente auto-imposto. Una repressione che è sfociata in un massacro durante le manifestazioni in cui i partecipanti, contraddistinti da un indumento verde a significare le intenzioni pacifiche, sono stati duramente colpiti, feriti, incarcerati, torturati, stuprati e anche uccisi. Il documentario funziona perché mostra un lato che difficilmente l’occidente è in grado di vedere: l’entusiasmo delle giovani generazioni, con tanti ragazzi desiderosi di dire la loro e di affermare il proprio diritto a vivere in piena libertà. Privo ovviamente del visto della censura iraniana il film è stato montato segretamente in Italia ed è una testimonianza diretta dell’orrore e dell’ingiustizia che si consumano nell’indifferenza globale. La giovane Hana, in conferenza stampa al Festival di Venezia dove l’opera è stata presentata Fuori Concorso, ha affermato che non si aspetta che altri popoli facciano qualche cosa per l’Iran, ma spera di riuscire a sensibilizzare gli spettatori contro un regime che impedisce il libero esercizio dei diritti basilari di libertà e democrazia. Non facile farsi un’idea completa sui fatti e il documentario è ovviamente parziale nel creare un punto di vista, ma l’idea che la giovane Hana non può tornare nel suo paese e alcuni punti fermi oggettivi (il numero dei morti, i risultati delle elezioni, il termine “dittatura”) non possono che far riflettere. “Non potete fare nulla voi”, dichiara Hana, “perlomeno, però, non offrite aiuti a chi sta distruggendo la libertà di un paese” .