GRAVEYARD OF HONOR

Anno Produzione2002

TRAMA

Un gangster della Yakuza viola il codice delle gang andando incontro alla rovina e alla morte.

RECENSIONI

Neverending Yakuza

Ancora la terribile mafia giapponese, la Yakuza, è al centro dell’ultimo film dell’instancabile Miike Takashi, famoso soprattutto per l’interessante comedy-horror “Audition” (circolato in Italia solo in qualche volonteroso cineclub) e autore dello splatter di culto “Ichi the killer”, presentato quest’anno al 20° “Torino Film Festival”. Il protagonista è un uomo che ha perso qualsiasi barlume di umanità, una specie di animale dalla furia devastante incapace di rapportarsi sia con gli amici che con i nemici. Se nel precedente “Ichi the killer” Takashi riusciva, al di là dei regolamenti di conti previsti dalla sceneggiatura, a raccontare un disagio con spirito dissacrante e liberatorio, in “Graveyard of honor” riduce gli spunti splatter e si sofferma sulla rabbia incontenibile ma ripetitiva del protagonista. Si succedono quindi tradimenti e vendette che finiscono con il diventare indistinguibili, anche perché realizzati con poca verosimiglianza (il protagonista arriva e fa una strage senza che nessuno riesca mai a fermarlo). La variante droga aggiunge ulteriore straniamento, ma null’altro. Unico spunto di interesse la storia d’amore distruttiva e anticonvenzionale con una giovane accompagnatrice. Ci sono tutte le premesse per la creazione di un eroe (positivo o negativo poco importa)  con cui condividere lo spazio del film, da amare, odiare, o semplicemente guardare. Invece non si varca mai la dimensione del mito limitandosi a una stanca iterazione di violenze perlopiù gratuite. Non basta certo il solito sax di sottofondo per evocare struggimento e perdizione.