TRAMA
Durante una ricerca sull’opera nordafricana del pittore francese Delacroix, uno storico inglese si ritrova coinvolto in uno strano sogno sadomasochista ad occhi aperti in Marocco.
RECENSIONI
Robbe-Grillet non ama il cinema, ed il cinema non ama (più) Robbe-Grillet. Se nel suo cinema anni '70 (discutibile, da riconsiderare per quello che è stato: un'applicazione fredda, meccanica, ma non riuscita delle teorie narratologiche del nouveau roman al cinema) il romanziere francese dissimulava la sua insipienza registica con piroette da narratore/montatore decostruzionista, qui, non essendo presenti arditezze sintattiche, si rivela tragicamente per quello che è: un intellettualista afflitto da una scopofilia non più sublimabile, quantunque si cerchi di giustificare la generosa esposizione di epidermide utilizzando il povero Delacroix come alibi intellettuale, mettendo in scena alcuni tableaux vivents di discutibile fattura. Saggiamente, giusto per evitare fin da subito di cadere nel kitsch, il regista decide di affidare il ruolo di protagonisti ad una biondona che pare uscita da un film di Jesus Franco, agghindandola, non pago, come Dalida, e al bambolotto James Wilby, (in)credibilisso nel ruolo dello studioso del pittore francese, con una gamma di smorfie più da naufrago dell'Isola dei famosi che da ricercatore colpito da un mal d'Africa "preventivo". Incredibile, imbarazzante, di una noia mortale. Essendo (o volendo essere) il racconto incentrato sulla compiaciuta e ridente sottomissione dell'altro al volere del "padrone", viene da pensare che il film stesso, l'"oggetto film" brevettato dal simpatico Robbe-Grillet, sia il suo personale contributo all'oggettistica sadomaso. Anche questo è metacinema: un film sul sadomasochismo che è esso stesso strumento di afflizione (per lo spettatore). Evento speciale, specialissimo oserei dire, della sezione "Orizzonti".