Horror, Proibiti

GRACE

TRAMA

[Film non uscito nelle sale italiane] A seguito di un incidente stradale, Madeline perde il marito e il bimbo che porta in grembo. La donna decide comunque di continuare la gravidanza, con l’aiuto di un’ostetrica indipendente: all’atto del parto, però, il piccolo sembra nato morto. All’improvviso si risveglia, è avvenuta la “grazia”…_x000D_

RECENSIONI

Scritto e diretto da Paul Solet, che sviluppa un corto dallo stesso titolo, Grace è il film di un giovane regista esordiente (a lungo collaboratore di Eli Roth) con struttura narrativa lineare e un’unica idea, peraltro derivativa (ovviamente Rosemary’s Baby). E allora perché ha impressionato il Sundance Festival 2009, ha vinto la sfida del passaparola ed è diventato un piccolo cult per molti horrorofili americani? Come spesso accade nell’horror non letterale, la ragione va ricercata nella capacità di costruire l’allusione, ovvero significare altro da sé e moltiplicare le possibilità interpretative. Grace offre due chiavi di lettura, il corpo e il cibo, entrambe contenute nell’avvolgente metafora complessiva della gravidanza.


Dall’inizio Madeline (Jordan Ladd) evidenzia qualcosa che non funziona: l’atto sessuale che porta al concepimento di Grace si consuma nella passività assoluta della donna. Si configura subito una gravidanza sui generis, sia a livello sostanziale che visivo: lo stacco di montaggio accosta la pancia gravida al trancio di carne macellata. In questo modo, ancora prima dell’incidente, il film costruisce il punto interrogativo sulla ragione del “figlio mostro”: conseguenza di aborti precedenti? Troppe sostanze per la fertilità? Non è dato sapere, in ultima istanza, esattamente come resta indefinita l’essenza reale della creatura (beve sangue: zombi, vampiro o altro, non si dice mai). Il corpo, allora: dalla trasformazione (essere incinta significa mutare) fino al suo salvataggio – l’incidente stradale -, passando per la riabilitazione e arrivando alla scena del parto, la più disturbante, giocata sul climax amniotico (acqua/placenta/sangue) che chiude nell’abbraccio della madre al figlio morto. Il corpo è veicolo dell’orrore che viene dall’interno: l’alterazione è sintomo e conseguenza, prima dovuta alla gravidanza, dopo causata dall’allattamento ematico, infine – a livello narrativo – dallo scontro finale con la suocera (Gabrielle Rose).


“I need special foods”, dice Madeline incinta. E sul cibo si apre un lungo discorso figurativo, all’insegna del contrasto: se la carne commestibile fa rima con quella alterata e ripugnante (il topo morto), allo stesso modo l’associazione visiva latte/sangue introduce la sostituzione dei liquidi che, di fatto, si compie alla nascita di Grace. In generale, si può addirittura azzardare un riferimento al passaggio della materia da un corpo all’altro: se l’uomo impara a mangiare e mangia animali, infatti, Grace non fa che velocizzare questo processo iniziandolo in fasce, senza filtri tradizionali e culturali (come la cucina), ma succhiando direttamente le fibre del sangue. Questo scostamento dalla consuetudine allontana la cosiddetta normalità: “Are you sick?”, “I am sick”, dicono i personaggi nel finale certificando la malattia, la scomparsa reciproca della condizione di sanità. Ancora la paura nasce da noi, dalle nostre abitudini.


Su tutto c’è la macroquestione della Gravidanza. Avvolto in un contesto di follia latente (Madeline è già instabile prima di concepire), l’amore materno è diverso dagli altri, come simboleggiato dal rifiuto della medicina tradizionale: è amore autonomo, pronto ad accettare tutto compresa la mostruosità della prole (riflesso e continuazione della propria). Quale madre non impazzisce per il proprio figlio? Il sentimento totale non scende a compromessi, l’amore si lascia “divorare” continuando a intonare una paradossale ninnananna: A quiet good night / My sweet little angel…


Oltre a queste riflessioni, resta il livello dell’horror letterale. E’ qui che Grace mostra i suoi limiti, dovuti in parte alle condizioni produttive (low budget, effetto homemade) e in parte al ripiegamento sugli stilemi di genere: il film si “accomoda” su un’esecuzione spesso di prammatica, nutrita di elementi tipici (il gatto nero) o parentesi macchiettistiche (il pranzo di famiglia iniziale). Senza dimenticare che il filone parallelo alla storia di Madeline non è altrettanto sviluppato: la parabola della suocera Vivan si limita alla sostituzione – vorrebbe lei la gravidanza – e gioca semplicemente sull’aberrazione derivante da questo dato (la scena di letto col marito). Mettiamoci poi alcune incertezze a livello tecnico, come la concitata e sbrigativa sequenza dell’incidente, e qualche momento di derivazione anche stilistica (la mosca schiacciata sulla camera come lo sperma della prostituta in Spider), e realizziamo i margini di miglioramento dell’autore e della sua crew. Nonostante tutto – questo l’importante – il regista afferma comunque una personale, cronenberghiana lettura dell’horror che potrà sviluppare domani: “L’orrore terrestre, l’orrore vero, quello che può succedere a te o alla tua famiglia, mi affascina di più della roba soprannaturale. Penso che le storie di fantasmi non facciano molta paura. Invece perdere il controllo sul proprio corpo, portare la morte dentro di sé, è qualcosa che difficilmente non provoca una reazione intensa” (Paul Solet, intervista al sito Behind the Couch).