TRAMA
La mamma di Alex vive nella Germania Est ed è un’orgogliosa socialista. Nell’ottobre 1989, alla vigilia dell’unificazione, cade in coma e si riprende solo dopo otto mesi. Alex decide, per evitarle uno shock troppo forte, di tenerla all’oscuro dei recenti cambiamenti sociali e politici.
RECENSIONI
Il Crollo dell'Utopia
Un tema non nuovo come la caduta del Muro di Berlino trova, nel film di Wolfgang Becker, un'interpretazione leggera e simpatica. Si racconta, infatti, di un ragazzo che deve assistere la madre, fervente attivista politica, risvegliatasi dopo un coma di otto mesi causato da un infarto. Il problema è che nel frattempo la Germania è uscita dall'Est per andare incontro all'Ovest, con conseguente caduta del regime socialista. La madre è molto debole, un piccolo trauma potrebbe esserle fatale, e il ragazzo decide di proteggerla emotivamente facendo finta che nulla sia accaduto. Ricostruisce così, tra le mura di casa, una sorta di "repubblica democratica privata". Come in "Truman Show", a dominare è la finzione: tutto ciò che la madre ritiene naturale e ovvio, naturale e ovvio non lo è affatto, dai cetriolini Spreewald, sostituiti da altri di importazione olandese, ai telegiornali di propaganda, ricostruiti grazie all'amicizia con un aspirante regista. Ma in "Good Bye Lenin", a differenza del film di Weir, non c'è una critica al cinismo degli spettatori televisivi e alla spietata avidità dei mezzi di comunicazione, affamati solo di audience e inserti pubblicitari. La commedia degli equivoci, infatti, è più che altro un pretesto per raccontare lo smarrimento del popolo tedesco pre e post unificazione, con la descrizione di un evidente disagio (pre) che sfuma in una libertà solo formale (post). Il protagonista finisce così per credere a un ideale che la realtà ha sempre smentito e, più che alla madre, la surreale messinscena a cui dà vita serve a lui stesso, per dargli un'identità politica, un senso di appartenenza al mondo che lo circonda e in cui fatica a riconoscersi. L'idea di sdrammatizzare un tema a forte rischio retorica si rivela vincente e il film centra l'obiettivo di sensibilizzare attraverso il sorriso e la malinconia. L'unico problema è che la "commedia" e la "tesi" rischiano più volte di stritolarsi a vicenda. Lo spunto alla base del film è forte e comunicativo, ma gli sviluppi narrativi non sono sempre all'altezza del soggetto, con trovate ora buffe, ora commoventi, ora semplicemente didascaliche o dispersive. Il teatrino che ne deriva, anche se divertente e calibrato, risulta quindi un po' forzato, tutto teso a dimostrare più che a raccontare. Pur gradevole e con un messaggio non banale, il film finisce così per perdere incisività, trovando un equilibrio grazie alla freschezza della confezione e alla verve, mai caricaturale, degli interpreti.
Reinventare il presente per (far) sopravvivere. Così Becker, con composta leggerezza, dà corpo alla sua riflessione visiva sulla caduta del muro, della DDR, dell'asfissia liberticida del regime, delle speranze egalitarie dell'Est. Una fervente servitrice della patria socialista chiude gli occhi, nel coma, durante l'attimo fatale: tutto è cambiato. Al risveglio, il suo cuore, pare, non reggerebbe la notizia del cataclisma e il figlioletto (ri)costruisce per lei una nazione socialista mai davvero esistita. Reinventare (anche) il passato, dunque. Il racconto delle immagini (quelle viste dagli occhi della risvegliata Christiane, quelle montate ad arte dal figlio Alex e da un suo amico amante del video) è un attento collage di irrealtà che mira a eternare la negazione del trauma della riunificazione e la negazione della negazione dell'utopia socialista. Il canovaccio, blandamente, snocciola trovate simpatiche ed altre un po' stanche, sorrisi divertiti ed amarissimi e soprattutto il dettaglio della Berlino dei primi '90, come uno sfondo minuzioso ma poco ingombrante, ben legato alla trama fine della commedia. Memorabile la sequenza della passeggiata di Christiane, che rischia di condurla al di là della finzione, con il gesto gentile e vagamente implorante di un Lenin volante, che riconosce in quella Berlino stravolta dai colori della Coca Cola, l'unico personaggio in carne ed ossa di un'ipotesi storica.
Opera straordinaria a livello di scrittura, dove tutto è esemplare, con un racconto che riesce ad essere, contemporaneamente, allegoria politica e paradosso agrodolce. È rappresentata sia la difficile transizione dal socialismo al capitalismo sia, in modo camuffato, la propaganda mendace di un governo che ha fatto credere al suo popolo tutto ciò che voleva (come in Underground di Kusturica, al protagonista è negato l’accesso alla realtà/verità), sia, a sorpresa, un omaggio a chi credeva veramente negli ideali socialisti, per quanto collocati più nella mente che in un paese (in)esistente. Opera encomiabile anche a livello registico, dove Becker mantiene in perfetto equilibrio vari registri: la commedia drammatica è generosa di invenzioni e gag (spassosi i finti notiziari, dove si aprono le frontiere a chi fugge dal capitalismo); la messinscena, leggera e creativa, non perde mai occasione di fare riferimenti alla Storia, all’amore per una Madre (che rappresenta la Repubblica Federale Tedesca), ai giochi fra realtà e finzione, alla moralità o meno delle bugie bianche. E il racconto non smette mai di spiazzare: vedi la rivelazione della madre alla fine, dove muore la vecchia Germania e i suoi figli abbracciano quella nuova (il padre), tenuta nella menzogna. Passaggi davvero geniali.