TRAMA
Lillian, da poco tornata nel suo paese natale, riceve le attenzioni del violento Blackway. Nell’indifferenza delle istituzioni, solo un ex taglialegna e il suo giovane aiutante decideranno di aiutarla a difendersi.
RECENSIONI
Tre buoni, o pseudo tali. Un cattivo, cattivissimo. Tanti torti da vendicare. Una cittadina di frontiera incapace di ribellarsi al potere dominante. È una sorta di western, quello diretto dallo svedese Daniel Alfredson, con il freddo e il rigore del nord ovest americano, al confine con il Canada, a fare da contraltare a un regolamento di conti scatenato da una ragazza, tornata al paese di origine, che si trova di colpo stalkerizzata da un ex-poliziotto diventato il dittatore della comunità. Una comunità pavida, asservita a una tirannia da cui pare non riuscire a prendere le distanze. Il film di Alfredson, a cui si deve la trasposizione cinematografica degli ultimi due capitoli della trilogia “Millennium”, è tutto qui. Non si perde in fronzoli e punta dritto all’azione. Peccato che non basti e tutto suoni risaputo e privo di mordente. La sceneggiatura, scabra ed essenziale, non trova infatti le giuste motivazioni e caratterizzazioni e si perde in dialoghi asciutti ma improbabili. Sembra assurdo, considerando che il ruvido impera e le armi da fuoco sono pane quotidiano, che uno psicopatico che compie solo soprusi e angherie non sia mai stato messo a tacere da nessuno e basti l’arrivo di una ragazza a cui è stato ucciso il gatto (sic) per trovare la immediata complicità di due abitanti.
E sembra ancora più impossibile l’urgenza della resa dei conti, tutta in una notte, dopo anni di ripetute vessazioni e crudeltà gratuite lasciate impunite. Con l’aggravante di un cattivo che viene dipinto come il male assoluto, e ci si aspetta mefistofelico e luciferino, zittito alla prima schioppettata. L’assenza di vertigini dello script non è compensata dal ritmo dell’azione che è sì incalzante, ma senza sorprese. Tutto è lineare e accade esattamente come lo si immagina. Brevi premesse, lunga fase di ricerca, con numerosi passaggi da un luogo all’altro per stanare il “terribile” manigoldo, e bum bum. Il vero mistero è capire cosa abbia attirato Anthony Hopkins, addirittura produttore, in un progetto così moscio. Probabilmente il rapporto con il regista, con cui ha già girato Kidnapping Mr. Heineken, o forse l’ipotesi di un western laconico e stringato. Uno spunto con un indubbio fascino ma funzionante solo sulla carta perché decisamente povero di idee.