TRAMA
Nel 1862, durante la Guerra di Secessione, viene formato un reggimento di afroamericani, al cui comando è posto un giovane ufficiale bianco ligio alle regole militari. Quando il presidente li dichiara fuorilegge, loro continuano a combattere.
RECENSIONI
La sceneggiatura di Kevin Jarre maneggia abilmente motivi classici quali l’amicizia virile, la lealtà, il rispetto, il coraggio fra camerati in guerra, la commozione previ meccanismi d’esaltazione e riscatto, fino ad una parte finale che, in questo senso, esagera con le fanfare sulla risoluzione del razzismo. Efficacemente convenzionali anche i profili psicologici tipizzati (il cinico, il saggio, l’istruito rammollito, l’ingenuo contadino…): se le prove attoriali sono eccellenti, è anche grazie ai dialoghi sagaci che caratterizzano gli snodi narrativi più tesi (è reso meno bene, invece, l’impatto sugli interessati del proclama presidenziale che li dichiara fuorilegge). Zwick ha talento per le immagini epiche, per l’organizzazione di scene di battaglia gremite di figuranti, per il senso spaziale e del “sentire” figurativo (alla fotografia c’è il grande Freddie Francis, che ha vinto l’Oscar insieme al tecnico del suono). Prendendone le misure, quindi, è un grande film che, alle ragioni dello spettacolo, unisce una serie di ispirazioni non mercantili, celebrando la “gloria” e trasformandola in simbolo ideale di una guerra che, solo nominalmente, veniva combattuta per eliminare la schiavitù. Un racconto emblematico teso a mostrare come, per la prima volta, gli afroamericani si sentissero pari, uniti e parte di qualcosa, potendo dimostrare il loro valore e dando merito, anche, al loro comandante Robert Gould Shaw, figura realmente esistita sui cui scambi epistolari, in parte, il racconto si basa: Matthew Broderick ha per le mani un personaggio combattuto e sofferente che, come Enrico V, si aggira fra le truppe per carpirne umori e bisogni, non temendo di usare la “frusta”, se necessario, per il loro bene. Una figura potente, come quella di Denzel Washington, che ha vinto l’Oscar. Zwick non lesina sugli orrori della guerra (una testa che esplode denuncia i futuri eccessi pulp-gore) e la sequenza finale dell’assalto alla fortezza è impressionante nel modo in cui ritrae il massacro e per gli sprazzi lirici, con un passo sospeso alternato alla cronaca e allo studio psicologico. Anche la sequenza con i canti gospel, la notte prima della battaglia, è suggestiva.