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TRAMA
Nel 1951 una commissione d’indagine negli Usa pur non riuscendo a dimostrare l’esistenza della Mafia, decide di espellere immediatamente un centinaio di figuri, in odore di crimine o politicamente scomodi (l’amico dell’anarchico Tresca, giornalista investigativo). A Genova sbarcano e vengono assaltati dai giornalisti, tra questi Giancarlo Fusco (del Secolo XIX) che si dedicherà per oltre dieci anni alla ricostruzione delle loro vite, con ampia libertà di fiction.
RECENSIONI
Gli indesiderabili è unoperazione su commissione, voluta dal produttore Galliano Juso. Ero interessato a misurarmi con la pellicola di genere ma per me il cinema è altro[
]Gli indesiderabili è un film di transizione, un gangster movie, alla maniera di un autore italiano, dove cinema e cultura orale si contagiano. Pasquale Scimeca, con onestà, così commentò la prossima uscita del suo ultimo lavoro. Non un giudizio di valore (non si tratta di un folle suicida), ma un dato di fatto che può permettere di inquadrarlo nel corpus, non indifferente, della sua opera. Lo citiamo in apertura non come dissuasione ma solo per avvertire che, dato questo, andremo altrove.
"Gli indesiderabili", tratto dal romanzo di Giancarlo Fusco (Sellerio ed.), permette da un lato, come ammette il regista, di continuare, o sfruttare, come volete, il ricorrente tema dell'oralità e della narrazione distorta ed al contempo di innestare su questo un percorso potenzialmente creativo, l'intreccio di cronaca, avvenimenti storici e storia del cinema.
Troviamo dunque la figura del giornalista, un informante che, volendo, riconduce a "Quarto Potere" ma più coerentemente proviene da un B-movie noir con un protagonista confuso e fantasioso, il dato storico della commissione d'indagine e dello sbarco degli scomodi migranti, il genere cinematografico, gangster movie, plurimamente filtrato nei decenni.
Scimeca organizza episodi creando percorsi di attese e prevedibilità: le storie di Mafia sono strutture forti, le abbiamo viste decine di volte e, ancor più determinante, ce le hanno fatte ri-vedere Coppola e De Palma. Contatto con la malavita organizzata (prendiamo l'episodio migliore, quello di Lily Valentino (Mazzarella)), ascesa, più o meno vertiginosa, caduta. Utilizzando spesso il diaframma di una fotografia il regista conduce Fusco (il pessimo Antonio Catania) alla ricostruzione, instaurando così l'ulteriore piano (o la trovata) del legame della memoria per rivivificare gli eventi. Le piccole beghe della comunità brookliniana di immigrati siculi divengono, per vie misteriose e burocratiche, eventi che la macchina del cinema può inglobare e stereotipare, come suggeriscono pure le musiche di Piovani che ricalcano, più che echeggiare, quelle di Cotton Club (e quelle di Piovani, dubitavate?).
Improvvisamente però il mito standardizzato dalla modernità cinematografica si trova sradicato e sviato in un'Italia piccola e povera, spezzando in due le esistenze dei presunti mafiosi. Soli con ricordi che sciorinano volentieri, dopo le ovvie diffidenze, come fossero questioni per altri personaggi. Il tempo e lo spazio hanno calato la scure su di loro, anche se il piombo può ancora raggiungerli, in un paesino sperduto, e portare a termine una vendetta obliata.
L'istituzione di un rapporto creativo tra le due dimensioni, le due convenzioni, sarebbe, potenzialmente, il maggior merito di "Gli indesiderabili". Scimeca dà prova di abile gestore di registri narrativi come nell'episodio che vede protagonista Vincent Gallo, giovane che vorrebbe fare i soldi con i gangster ma li tradisce e fa la fine che si merita, ma le colpe di una sceneggiatura rabberciata ed incompleta (lo scorrere del tempo? l'integrazione degli spunti nel dettato? perchè l'inutile obbrobrioso monologo finale esplicativo?) sono inferiori solo alla pessima qualità della recitazione (Catania e Lanzetta guidano la rotta).
Presentato al Festival di Locarno 2003, Gli Indesiderabili mostra la faccia più desolante del cinema italico, un regista come Scimeca, in balia già di una produzione stentata, di una distribuzione al limite dell'inesistenza (e di un doppiaggio, ancora una volta, da vomito), alla fine annichilito da attori che, abituati a far imputridire un teatro morto di suo, spingono nella fossa un cinema, quello nazionale, nato moribondo e santificato prematuramente.
Marcello Mazzarella è l'unico ad uscirne con l'onore delle armi. Dopo esser stato icona-Proust per Ruiz, qui è il doppio di Rodolfo Valentino.