Drammatico, Recensione

GIRL

Titolo OriginaleGirl
NazioneBelgio, Olanda
Anno Produzione2017
Durata109'
Scenografia

TRAMA

Lara, adolescente con la passione della danza classica, si trasferisce in una nuova città insieme al padre e al fratellino per frequentare una prestigiosa scuola di balletto, a cui dedica tutta se stessa. Ma la sfida più grande è riuscire a fare i conti con il proprio corpo, perché Lara è nata ragazzo…

RECENSIONI

Victor non è più Victor: è Lara e lo è per tutti. Lo è per il padre e per il fratellino, che la supportano con entusiasmo e senza esitazioni. Lo è per la scuola di danza che frequenta e che con lei accetta la sfida di piegare un corpo maschile agli obiettivi di una ballerina. Lo è per il gruppo di medici e psicologi che la seguono nel percorso che porterà ad una definitiva riassegnazione del sesso. Anche per se stessa Lara è Lara. Victor non è forse mai stato e di certo non lo è più. Ma nonostante (quasi) tutto si allinei e si schieri dalla sua parte, il conflitto rimane, disperato, pronto a deflagrare. Tutto interiore, riguarda lei soltanto. È un tormento di impazienza. È il carattere non conciliante di questo dolore l’aspetto più vivo e toccante di Girl, acclamata opera prima del ventisettenne belga Lukas Dhont. È una pena che sfida i limiti della comprensione sociale, della compassione razionale, per il clamoroso rigetto del supporto che la circonda. Lara è cieca ad ogni appiglio o sovrastruttura esterna: non basta l’accettazione della scuola, la cultura dei medici o l’amore della famiglia. La lotta, inesausta, è dentro.

Gettate queste premesse, il film si sviluppa come un character study sull’interiorità di Lara; un character study a suo modo paradossale, che si mette in scena con la consapevolezza di segnare la propria sconfitta: un’anima lacerata da un tormento così personale può essere esposta, ma non spiegata. Dhont mette in piedi il film illudendoci/si di poterlo fare, di rendere manifeste in superficie le ragioni profonde che agitano il cuore della protagonista. Il rapporto fra anima e corpo viene così esplicitato per mezzo della danza, le cui coreografie costituiscono un tentativo fattuale di piegare un corpo sbagliato agli ideali di una persona nuova che deve emergere. È così che la danza viene vissuta e filmata nelle sue componenti più ossessive e furiose, come insistenza e ripetizione, rito, stregoneria o tortura in grado di spezzare letteralmente il corpo (i particolari delle ossa che definiscono gli arti, i piedi martoriati dalla pratica) al fine di far fuoriuscire, come da un vaso di Pandora che finalmente va in frantumi, una cosa nuova, una verità più vera. E se infine in questo scontro fra dentro e fuori, reale e ideale, la danza si rivelerà solo una panacea, toccherà a Lara in prima persona brandire l’arma per spezzare il corpo. In un (pre-)finale ad alto rischio shock, nonostante tutti gli elementi si stessero allineando verso una difficoltosa e tanto attesa risoluzione, Lara provvede ad una disperata auto-evirazione. È l’esplosione del tormento che eccede la spiegazione, per riprendere i termini adoperati prima. L’impazienza della pena, la mutilazione come gesto esternamente inconcepibile e internamente necessario. Il character study deraglia verso l’ignoto, perde la possibilità di decifrazione, pretende solo umana empatia.

Girl non è il miracolo, il film perfetto, che parte delle stampa ha magnificato. È un film dall’impostazione non troppo originale e dall’approccio estetico già visto. È un film che, coerente con i propri obiettivi di narrazione, cede alla tentazione di interiorizzazione eccessivamente il conflitto di Lara, limitando la forza espressiva della storia e delle immagini. Ma Girl è anche un film da sostenere con decisione - e non, ipocritamente, per il tema che tratta. Girl è una sensazionale palestra per il talento del suo giovane autore, una prova generale di buon cinema – al pari delle lezioni di danza di Lara – che non degrada mai nel pallido esercizio di stile o nella trovata da festival (no, neppure il finale). Dhont si muove con gesto preciso e intimo, lo sguardo misura infinita empatia e millimetrica giustezza. Ma soprattutto, Dhont si rivela un incredibile regista di attori, regalando al protagonista, Victor Polster, la performance di una vita. Dhont ottiene che Polster non si limiti ad impersonare Lara, ma che diventi Lara in tutto e per tutto: è l’incredibile portata di ciò che il giovane attore belga ci restituisce sullo schermo che valida il discorso del regista e segnala il film come uno dei debutti imprescindibili dell’anno.