Sala

GATTA CENERENTOLA

TRAMA

Cenerentola è Mia, cresciuta come gatto di strada nella nave Megaride da quando suo padre, ricco armatore, è stato ucciso; traumatizzata, vessata dalla matrigna e dalle sue sei figlie, è unica erede delle ricchezze paterne, sfruttate da Salvatore Lo Giusto detto “’o Re”, narcotrafficante che ambisce a estendere il suo dominio dal porto, quartier generale dello spaccio, all’intera città di Napoli, sfondo e protagonista silenziosa -come Mia- di un inarrestabile decadimento in atto. Complice, amico, angelo custode, il “principe azzurro”-poliziotto Primo Gemito.

RECENSIONI

«’O Re s vuó spusà a jatta» (il Re vuole sposare la Gatta): picco drammatico, punto di non ritorno, precipizio di violenza ultima di una fiaba trasformata in gangster story che non ha per protagonisti gatti, né topini per comprimari, ma rimanda all’opera teatrale di Roberto De Simone a sua volta tratta dalla Cenerentola italiana più antica, La Gatta Cenerentola, parte della raccolta di fiabe popolari dialettali Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, Il Racconto dei racconti, già recentemente riportato all’attenzione del pubblico dall’omonimo film di Matteo Garrone. Napoli è uno sfondo di detriti che fluttuano perennemente nell’aria fosca, dorme all’ombra della malavita, muore ogni giorno senza neanche agonizzare; al porto, la nave simbolo di rinascita e memoria, trionfo della scienza e della tecnologia, è ormai il fantasma della tragedia consumata a bordo che ne ha fatto relitto infestato di ologrammi di immagini trapassate. Il malavitoso, ora boss, toccando il fondo è assurto al rango più elevato, ha un nome che mescola il rimando fiabesco a nostalgie borboniche, “O’ Re”, ma al suo incoronamento manca un matrimonio: nell’alveo della convenienza e dello sfruttamento. Della bruttezza autentica degli individui in cui si respira ancora la schiettezza simbolicamente crudele delle fiabe, quella che permette di inscenare il peggio in virtù del racconto senza tempo, perché «soltanto la fiaba può raccontare violenze e orrori senza il dolore che provoca la continua violazione delle regole della società civile e del rispetto dell'essere umano» [1], così Michele Rak, zio di Alessandro, critico letterario primo traduttore e curatore del testo di Basile. Dove ciò che persiste è l’archetipo, basta un frammento per diramare nuove narrazioni; il rilancio degli elementi simbolici attraversa le epoche, mescola gli stili: permane la morale. «Pazzo è chi contrasta con le stelle» [2], è folle chi si oppone al Fato, sono costrette a constatare nel testo originale le sorellastre, portavoce dell’etica di chi scriveva stilando ad arte un racconto che arriva vivido fino a noi. Ma in questa Gatta Cenerentola animata, il cronachistico e il fiabesco sono intrecciati, convivono in una tecnica mista in cui il tratto realistico è ammorbidito dalle pennellate tenui, dagli sfondi e dalle atmosfere tra l’onirico e lo steampunk, i simboli sono frantumati e rivisitati: la scarpetta, feticcio e viatico dell’unione sessuale, è qui un ritrovato della chimica utile allo spaccio, portatrice di altra estasi, capace di polverizzarsi in purissima cocaina. I protagonisti, dramatis personae che inscenano il dramma, che ci salutano nei titoli di coda subacquei fuori dal personaggio, in qualità di interpreti, hanno nomi simbolici: Mia, muta Gatta Cenerentola, è l’onomatopea di un miagolio; Salvatore “Lo Giusto” e Angelica sono antifrastici traditori, poiché l’una non è l’angelo che sembra e l’altro non porta giustizia né salvezza; Primo Gemito, primo vagito, figlio primogenito, è un etico irrisolto che non ha potuto impedire il male, ma può ancora impedire il peggio; Vittorio Basile, filantropo costruttore della nave, è un tributo allo scrittore ma anche un omaggio cinefilo al De Sica del quale richiama i modi e le sembianze. La nave stessa ha un contenuto simbolico. Da ultimo ritrovato scientifico a gigantesco museo della memoria, ha il nome di Megaride, come l’Isolotto su cui sorge Castel dell’Ovo il più antico della città di Napoli; è dialogo tra passato e presente, conserva un mondo sommerso, contiene prefigurazioni e rivelazioni, sembra giacere nel fallimento eppure è ancora motore dell’azione e quando Mia viene risvegliata dalla sua passività grazie a una proiezione del passato, scopriamo che Megaride non è un cimitero del tempo, ma un organismo di indizi, un cinema delle origini, è storia che respira nell’ologramma mentre intorno si dipana la cronaca spicciola, è il mondo fiabesco che non vediamo, ma che esiste, pur de-moralizzato, privato di morale perché al matrimonio e all’incoronazione si sostituisce la detonazione, a bordo si è sparso il sangue, l’ora è satura: la nave esplode. E se il presente è deflagrato e la morale -della favola- è andata dispersa, forse bisogna costruirne una nuova.
A partire da dove?
La Gatta Cenerentola riparte dall’animazione, risvegliando un settore sopito nel panorama italiano, sfidando il basso budget, mescolando le tecniche, mascherando le difficoltà, aggregando le competenze, parte dal lavoro di squadra, dalla passione per quel lavoro. «Siamo tutti disegnatori», dice Alessandro Rak, parlando di sé e dei propri colleghi, ma alla domanda se il principio sia il disegno, risponde che il principio è la musica, «sono nati prima i musicisti» [3], non solo perché la pièce di De Simone, un’istituzione nel panorama teatrale napoletano, è un insieme di numeri musicali, ma perché Napoli è una città che canta, che si identifica nell’espressione canora. Solo il vecchio merlo in gabbia non canta più, Angelica decide che dovrà essere l’unico a salvarsi, la bellissima Angelica che canta, come l’uomo che le ha portato via l’esistenza intera in cambio di niente: dopo un lungo quindicennio si riabbracciano, complici e assassini, Ammore e malavita, preannunciati dal rispettivo intonare una melodia (Io te voglio bene assaje in versione swing) e riconoscersi man mano che i passi si avvicinano e il volume incrementa. Salvatore, che domina il palco, canta parole violente, senza sconti sulla città di Napoli. I musicisti Luigi Scialdone e Antonio Fresa attuano così un lavoro di riscrittura musicale ammirevole, arricchito da brani di altri autori quali Daniele Sepe, Enzo Gragnaniello, i Foja, i Guappecartò, per citarne solo alcuni. Dal testo fiabesco al melodramma, prende dunque vita quello che possiamo definire un gangster-musical d’animazione -è vero che si spara, che si espongono corpi volgari e sensuali, si muore ammazzati e dilaga il turpiloquio, ma non chiamiamola animazione per adulti, non solo perché ha l’aria di un disclaimer, ma perché ricade nell’equivoco che considera il cinema d’animazione un genere per bambini, dove il problema sussiste già nel considerarla un genere-. Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone firmano in coregia un lavoro imperfetto, ma ispirato, sorprendente per le premesse del sistema produttivo che lo ospita, per l’autenticità del sentimento che con molta evidenza lo anima -letteralmente-, grazie a Big Sur e Mad Entertainment già produttori di L’arte della Felicità, primo e apprezzato lungometraggio di Rak che aveva già visto la partecipazione dei futuri coregisti di Gatta Cenerentola. Lo stile di quest’ultimo, assimilabile a quello del film precedente, ma diverso, è difficilmente identificabile dal punto di vista tecnico, riassunto talora in un generico mescolamento di 2D e 3D che non ci offre, a dire il vero, alcuna indicazione utile. Come è realmente realizzato questo lavoro? Cosa ne determina il fascino e insieme l’incertezza, il sentore di qualcosa di rudimentale che non assicura fluidità ai movimenti e aderenza al lip-sync, per fare un esempio, ma che è in grado di farsi dimenticare e assorbire nei toni pastello e nelle penombre sbieche, di rilanciare con la computergrafica degli ologrammi che parlano del passato ma guardano al futuro?

«Gatta Cenerentola è un pout-pourri di tecniche differenti volte a comple(men)tarsi a vicenda sfidando le ristrettezze di budget. Per la CG (che già per la sua natura digitale permette e facilita il riuso di componenti e cicli) si è ricorso a software opersource come Blender (e il suo addon Rigify) mentre l'animazione dei corpi si avvale dell'aiuto di una motion capture low cost senza tute e marcatori. Il movimento catturato offre una base di partenza agli artisti che lo hanno completato animando manualmente le mani e il facciale che, spesso, risulta poco dettagliato se non eccessivamente semplificato, in aggiunta a un acting a volte poco pulito. Queste sbavature vengono intelligentemente mascherate da un design e un look pittorico 2D (ottenuto con software appositi) che smussano le spigolosità dei modelli senza perdere di profondità e tramite un lighting e un compositing ispirato che trascende la freddezza della CG. In mani non salde questo mix sarebbe risultato di dubbia fattura, se non addirittura di pessimo gusto, ma Il co-regista e animatore Ivan Cappiello (che si ringrazia per la disponibilità e le informazioni fornite) insieme al suo team sono stati in grado di fare di necessità virtù e firmare un'opera di fine artigianato vecchia (ma in realtà nuovissima) scuola.» (così Michele Sottile, che si ringrazia per l’approfondimento). La fiaba antica rivive dunque nel presente. Dalla nave, intreccio di vicoli e ormeggio di ricordi si dipana una vicenda nuova, «il racconto fiabesco serve a trarre un’altra storia rispetto a quella che racconta», è il canovaccio di numerose varianti che, in questo caso, dal meridione barocco, intrattenimento del cortigiano nel Regno di Napoli, diventa meccanismo che evade il contesto e l’epoca; per questo la dialettalità non confina il discorso al suo quartiere, non ne inficia la portata universale, anche se si colloca in uno scenario più che mai protagonista. Nei suoi controluce lunari, passeggiano silhouette feline: Cenerentola «icona della vita e della sua perpetua consunzione in cenere», ha «accanto a sé una delle altre icone mediterranee con le qualità enigmatiche del sacro e del profondo: il gatto, con le sue apparenti e impossibili atonie». [4]

[1] cit. Michele Rak, Basile e Garrone a Cannes. L’eterno fascino della fiabaLa Repubblica – Napoli, 14 maggio 2015
[2]
 cit. G. Basile, Lo cunto de li cuntiLa Gatta Cenerentola, a cura di M.Rak, Garzanti, Milano 1995, p.53

[3] cit. Videointervista a Alessandro Rak, Dario Sansone, Marino Guarnieri, Ivan Cappiello, Movieplayer, 20 settembre 2017
[4] cit. M. Rak, Da Cenerentola a Cappuccetto rosso - Breve storia illustrata della fiaba barocca, Bruno Mondadori, Milano 2007, p.2