Polar

GANGSTERS

TRAMA

In seguito a una rapina di diamanti degenerata in carneficina, una squadra di polizia fa irruzione in un appartamento parigino, prelevando con la forza Franck Chaïevski e la compagna Nina Delgado. Tratti nel commissariato del 18º arrondissement in stato di fermo, i due vengono sottoposti a un brutale interrogatorio nel corso del quale emergono particolari che coinvolgono alcuni poliziotti dell’anticrimine.

RECENSIONI


Primo capitolo della trilogia sulla "solitudine, la disperazione e l'erranza" di Olivier Marchal (gli altri due saranno 36, Quai des Orfèvres del 2004 e MR 73 del 2008), Gangsters è un ruvido polar in cui l'ex flic della Brigata criminale di Versailles attinge alla sua esperienza professionale travasandola nelle regole cinematografiche del genere. Appassionato fin dalla tenera età di letteratura pulp e cinema poliziesco, Marchal non solo si rivela capace di mettere in forma di racconto l'esperienza vissuta evitando il realismo ingenuo, ma mostra la ferma intenzione di imprimere al genere una torsione critica, impiegando i cliché narrativi (appostamenti, interrogatori, infiltrati) per descrivere dall'interno le crepe e la vulnerabilità dell'istituzione poliziesca.


Smarcandosi nettamente dalla prassi estetizzante degli anni '80, dal verismo programmatico degli anni '90 e dalle contaminazioni thriller dei primi anni 2000, l'esattezza descrittiva di Gangsters non si traduce in coreografie balistiche, in dinamismo ipercinetico o in fedeltà procedurale, ma si cala in forme drammaturgiche: a dettare i tempi sono le sfumature caratteriali e i risvolti psicologici che trapelano dal copione. Marchal crea uno spartito filmico modulato dai dialoghi (confezionati facendo tesoro delle espressioni assorbite durante gli anni passati in polizia) e impreziosito dalle allusioni e dalle insinuazioni che caratterizzano gli scambi verbali, costantemente carichi di ambiguità e doppi sensi. Pur senza rinunciare a una solida progressione drammatica garantita dall'unità di spazio e tempo (lo stato di fermo nel commissariato, costellato da calibrati flashback), Gangsters gioca le sue carte migliori nella sfaccettatura delle psicologie e nella progressiva rivelazione di aspetti segreti che costringono a rileggere quanto accaduto, dando ai personaggi volume e profondità.


Levigata dalla fotografia compatta di Matthieu Poirot-Delpech, la messa in scena di Marchal è al tempo stesso aspra e sensibile: sinuosamente spigolosa nelle sequenze action (la sparatoria iniziale nella discoteca di Place Pigalle lega fluidi movimenti della steadycam a frammentazioni improvvise) e sornionamente radiografa nelle scene dialogate (i piani medi e i primi piani, talvolta potenziati da lenti avvicinamenti della camera, sono le inquadrature prevalenti). E nonostante uno stile non esente da qualche rigidità, l'ex flic Marchal al suo primo lungometraggio cinematografico fa già capire di che pasta è fatto il suo cinema: centrato sugli uomini, immune agli orpelli ornamentali e geneticamente affine alla composta complessità dei classici. Non poteva mancare un omaggio a Jean-Pierre Melville, anzi due: il cognome del flic interpretato da Gérald Laroche (Jansen, lo stesso del tiratore scelto ex poliziotto interpretato da Yves Montand ne Le cercle rouge) e la sfuriata autolesionistica di Richard Anconina nel commissariato (che ricalca quella, in una situazione analoga, di Lino Ventura ne Le deuxième souffle).