TRAMA
Due ufficiali dell’esercito americano (Duke e Ripcord) devono trasportare un nuovo prototipo di armi fabbricato dalla M.A.R.S. Il convoglio viene attaccato da un manipolo di soldati che posseggono una tecnologia all’avanguardia, intenzionati a rubarne il carico. I G.I. Joe sono però dietro l’angolo…
RECENSIONI
Sommers(o)
In linea con la sua sconclusionata autoironia, Sommers declassa l’invincibile reparto speciale stelle&strisce, eliminadone il profilo del tipico tough boy molto anni 80. Classici toni da mattacchione yankee, ci rifila un fare “comico” ben lungi dal sembrare una convinzione autoriale, semmai un mezzo per sospendere temporaneamente una sceneggiatura tenuta insieme con lo scotch. Se tale operazione avesse una coerenza e una continuità potremmo anche accettarla, peccato che l’abbassamento parodico dei toni, (il tutto sbrigativamente motivato dal reclutamento di Duke e Ripcrod, due marines fin troppo umani che ridimensionano la natura sovra (umana) dei G.I Joe), va a scontrarsi con un contraltare drammatico poco produttivo, mediante inconcepibili flashback (quelli della Baronessa ne sono il picco) che nascondono, dietro la volontà di delineare i vari conflitti dei singoli, l’ennesimo blocco narrativo. A questo punto ha dell’inutile soffermarsi sull’incredibile baldoria dell’effetto speciale, indubbiamente ben fatto, ma poco coinvolgente se ciò che lo sorregge ha uno spessore pari a zero. Va bene, Sommers ridimensiona anche questo grazie al buddy team dei nuovi arrivati, goffi e divertiti nella loro incapacità di manipolare la “fighissima” ultra-nano-iper-tecnologia (l’inseguimento tra le strade di Parigi), con la più (in)consapevole certezza che è proprio il limite umano (l’attrazione è un’emozione, l’emozione non è basata su dati scientifici…) la fucina di un’eroica duttilità. Come consuetudine il regista giochicchia con la sua alquanto bizzarra cinefilia. Le citazioni sono prive di motivazione (non parlatemi di affinità di genere o altro, perché l’autore in questione ha omaggiato Shining in Deep Rising senza alcuna logica di fondo) e talmente evidenti da essere sorvolate fino a quando non ricoprono il ruolo dell’auto-omaggio. Sì, lo so, non ci vuole tanto a capire che i nanomites richiamano gli scarabei carnivori de La Mummia...
(Lo sguardo politico del film è stato volontariamente omesso).
Dopo i Transformers, la Hasbro ri-immette nel mercato del cinema un altro suo giocattolo, invero nato come fumetto nel 1942 e, dagli anni sessanta, istituzione americana, alla Big Jim, come action figures: affida il progetto al re del cinema-giocattolo, Stephen - La Mummia - Sommers che, per fortuna, più che guardare alla sua ultima opera da regista, Van Helsing (kolossal in cui stonava il baraccone di personaggi e il mix di registri), replica la formula da cinema d’avventura classico delle sue opere migliori, fra cui il terzo capitolo della “Mummia” di cui era solo produttore e di cui imita il ritmo forsennato, la profusione di idee, la spettacolarità che non dimentica doverose annotazioni sui personaggi. Rimarchevoli le battaglie messe in campo: c’è davvero ogni sorta di combattimento immaginabile (si finisce pure sott’acqua, dopo una sindrome da La Terra Contro i Dischi Volanti quando crolla la torre Eiffel) e chiude il tutto un pezzo di bravura di vari fronti aperti in parallelo. Cinema superficiale, mero divertissement, ma simpatico ed irresistibile nella sua aria da B-movie, quando il cinema di Michael Bay, ad esempio, giocando in serie A, offre maggiormente il fianco alle critiche: gli effetti speciali digitali non sono il meglio che offre il mercato (soprattutto quando in interazione con le “riprese dal vero”) e sono sovrautilizzati (sono digitali e non da stunt tutte le acrobazie su moto) ma condiscono un plot eccitante che guarda molto agli 007 con questo “Cobra” stile Spectre (la base al Polo Nord, i gadget meravigliosi), ha tanti personaggi fumettistici/pittoreschi, conta su armi avveniristiche ed è ben congegnato fra flashback che spiegano il legame fra i personaggi e traccia romantica. Non è facile, a tale velocità, tenere in piedi una “continuity” plausibile con pit stop non grossolani.