Animazione, Recensione

G-FORCE – SUPERSPIE IN MISSIONE

TRAMA

Una squadra speciale di porcellini d’India è addestrata dai servizi segreti per impedire la distruzione del mondo da parte di un cattivissimo criminale miliardario. Prima che possano completare la loro missione, però, il governo decide di sbarazzarsene e li destina a un negozio di animali. Scappare e combattere le avversità non sarà facile.

RECENSIONI

Quando saliamo sulle montagne russe non ci chiediamo che personalità hanno i nostri vicini di vagone, a cosa sta pensando il ragazzo con il cappellino che schiaccia con indifferenza il pulsante START, chi ha deciso il colore della struttura e perché proprio quel bianco, ma vogliamo solamente essere trasportati a velocità folle in un altrove dove tutto è possibile, anche sopravvivere a un doppio giro della morte su delle rotaie sospese nel vuoto sorrette da pali in legno dal cigolio sinistro. Ecco, è lo stesso atteggiamento che dobbiamo avere per non infierire contro l'idea di cinema di Jerry Bruckheimer, produttore americano che predilige ritmo indiavolato, assenza di sottigliezze, botti ed esplosioni (tra gli altri, per intenderci, Con Air, Armageddon - giudizio finale, Pearl Harbor e la per ora trilogia “Pirati dei Caraibi"). Ed è quello che immancabilmente capita nel trentesimo lungometraggio da lui prodotto, diretto dal mago degli effetti speciali Hoyt H. Yeatman. Nel rintronante frastuono che ne deriva G-Force: Superspie in missione qualche merito ce l’ha. Intanto non è tratto dall'ennesimo fumetto, pardon graphic novel, di cui solo pochi intenditori sanno qualcosa, ma ha un soggetto originale (ok! ok! suggerito al regista dal figlio di cinque anni). Inoltre è uno dei pochi film sbandierati in 3D che sfrutta con efficacia la tecnica stereoscopica aumentando non solo la profondità di campo, ma anche la sensazione di essere dentro alle immagini. Occorre aggiungere che gli effetti speciali (praticamente tutto il film) sono di una fluidità davvero ottima, con una sorprendente combinazione di computer grafica, live action e Digital 3D. Bisogna anche ammettere che il gruppetto di porcellini d'india addestrati come agenti segreti e convinti di essere stati modificati geneticamente è caratterizzato in modo elementare (un aggettivo per ognuno) ma assai funzionale. Poi, vabbè, ci sono i buoni sentimenti in saldo (l'unione fa la forza, dalla diversità può nascere una coesione costruttiva, meglio essere vincenti che schiappe e anche se si è schiappe alla fine, chissà perché, vincenti si diventa), un lato umano molto debole, completamente schiacciato dalla verve dei roditori di sintesi (anche il simpatico Zach Galifianakis appare per lo più imbambolato), e nulla di ciò che corre sullo schermo gode del minimo approfondimento. Però, che diamine, siamo andati volontariamente al Luna Park, mica a una riunione di condominio o a un convegno di mormoni. Diffidate, comunque, di chi lancia moniti contro il 3D e la pura evasione, pur fracassona come in questo caso. Il cinema esageratamente ludico è sempre esistito, esisterà sempre e ogni tanto è proprio quello che ci vuole per staccare la spina. Ecco, nel caso specifico diciamo che se un po' di botti ed esplosioni fosse stato sacrificato a un maggiore spessore complessivo nessuno si sarebbe lamentato, forse nemmeno gli under 14 a cui il film è quasi esclusivamente destinato.