TRAMA
Infanzia e giovinezza di Furiosa da quando viene rapita, bambina, da un gruppo di motociclisti a quando, ragazza (e amputata), cercherà di soddisfare la sua sete di vendetta.
RECENSIONI
Nella continuity invero non chiarissima e stringente della (per ora) pentalogia, non credo sia comunque corretto definire Furiosa (2024) un generico spinoff in salsa prequel quanto più un sidequel da affiancare, parzialmente, a Fury Road (2015) che era probabilmente un remake/newquel di Mad Max 2 (1981), sequel di Mad Max (1979), al quale seguì il sequel Mad Max Beyond Thunderdome (1985). I fatti di questo ultimo capitolo della saga, infatti, sono successivi a quelli narrati nel primo capitolo del 1979 e dunque contemporanei a quelli raccontati nel 1981 e ri-raccontati nel 2015, come chiarisce pleonasticamente la sequenza di pochi secondi in cui Max intravede Furiosa (auto)amputata fuggire nel deserto. Volendo stabilire (credo) non peregrini parallelismi, si potrebbe anzi azzardare che Furiosa sia una sorta di concettuale condensato e criptoremake al femminile dei primi(ssimi) due Mad Max, quelli in cui si edificava il mito di Max Rockatansky, rivelando l’origine dello stesso da vendicatore prima e da anti-eroe (appunto) mit(olog)ico dopo.
George Miller costruisce infatti il film come una origin story di formazione in cinque atti, ognuno con un titolo esplicativo (Il Polo dell’Inaccessibilità – Lezioni dalle Terre Desolate – La clandestina – Verso Casa – Oltre la vendetta), struttura che rende il film decisamente più narrativo, classico, disteso e meno serrato del precedente. La sceneggiatura è dunque meno laconica e più incline a spiegare, pur mantenendo – in parte - il marchio di fabbrica ellittico milleriano. Il Mad Max Universe, se ci si pensa, è costruito per (ac)cenni, gesti, scampoli: non è mai chiarissimo quali regole governino le gerarchie tribali delle varie comunità, quali culti pseudo/parareligiosi abbiano soppiantato le religioni tradizionali pre-apocalittiche né quali divinità o semidivinità vengano adorate. Ebbene, qui Miller ci dice qualcosa in più, ci porta dentro luoghi in precedenza solo nominati (Gas Town), dà un background abbastanza solido ai personaggi (se veda Hemsworth/Dementus) ed espande l’universo senza rovinarne troppo il mistero, ché riempire intenzionali e affascinanti lacune con ipotesi è assai più appagante che farsi raccontare, sic et simpliciter, come stanno le cose.
Il vero problema di Furiosa, però, è Fury Road. Se infatti è vero fino al sacrosanto che un film va SEMPRE valutato per quello che è e non per quello che ci aspettiamo che sia, è altrettanto fisiologico crearsi delle più o meno subliminali aspettative, e Fury Road è un precedente che pesa come un macigno. All’epoca ne parlai (molto) bene ma non benissimo come avrei dovuto (cfr Non è un paese per vecchi, altra recensione scritta a caldissimo che negli anni non smette di togliermi il sonno) ma, dopo diverse revisioni, non può non stagliarsi come un qualcosa di miracoloso. Un action cazzuto parlando del quale non ci si vergogna a utilizzare aggettivi inutilizzabili come cazzuto, il massimo del viscerale cinematografico che per vie misteriose e affascinanti diventa quasi etereo e teorico, un raccontare per immagini in cui le parole diventano orpelli, il massimo dell’antiintellettualismo che faceva il giro completo per diventare raffinatissimo, un film che sapeva di classico del tipo non-si-fanno-più-film-così e insieme nuovo del tipo un-film-così-non-si-era-mai-visto.
Furiosa, per molti versi, gli somiglia ma rischia di sembrare, allo stesso tempo, una riproposizione (la materica presenza scenica delle sequenze di azione, al netto di qualche incursione digitale di troppo) e un tradimento (è decisamente più verboso e raccontato). E’ semplicemente un film diverso, e la diversità non è mai una colpa, ma il suo essere un oggetto estraneo rispetto a tutto il resto del cinema che gira intorno stavolta è meno evidente e si ha la sensazione di trovarsi a metà di diversi guadi. Un Fury Road normalizzato che rimane bello ma non eclatante. Sarebbe teoricamente interessante poter (cercare di) valutare Furiosa come se non ci fossero precedenti ma fortunatamente non siamo nel noioso e paraculo multiverso Marvel e comunque la sua stessa natura di fondamentale spinoff davvero non lo consente.
Quel che è certo, però, è che George Miller si conferma un regista/personaggio straordinario e davvero unico, che in gioventù ha segnato tutto l’immaginario post- cinematografico a venire (Mad Max I e II), si è misteriosamente imborghesito nel mezzo del cammin (Babe, Happy Feet) per poi risorgere settantenne con un vigore inusitato e furiosissimo sdegno nei confronti del cinema d’azione coevo (Fury Road) e ritrovarsi, alla soglia degli 80, a gettare le basi per un’ipotesi di saga ramificata e multiforme. Dio benedica Mad George.
La poetica aggressiva e sensoriale di George Miller, lontanissima dagli action glamour e dai blockbuster innocui e oliatissimi degli ultimi decenni, resta orgogliosamente fuori (dal) tempo e fuori moda. Quasi vintage. L’immaginario che il regista australiano ha creato con Mad Max nel 1979 si connette ad un cinema adulto, che cerca nella motricità dello sguardo una chiave di lettura (distopico-politica) del mondo: delirante, sporco, malato. Furiosa: A Mad Max Saga, prequel e insieme spin-off di Fury Road, non fa eccezione. La civiltà è crollata. L’anarchia domina. La terra è inospitale, l’aria irrespirabile. I volti sono adusti, la pelle è secca, i corpi ossificati. Scarseggiano i viveri e il deserto è una immensa distesa arida e afosa in cui non cresce nulla e la vegetazione è un lontano ricordo. Dal Luogo Verde delle Molte Madri, una piccola oasi segreta e incontaminata, Furiosa bambina viene rapita e portata da Dementus, leader perverso e psicotico della terra desolata. Parte da qui un viaggio lungo e gravido di pericoli in mezzo al caos, tra spietatezza e follia, anarchia e prevaricazione. Il prologo di Furiosa, un po’ western, un po’ cinema muto - fa precipitare da subito dentro l’orrore di un mondo (s)finito e post apocalittico, dove la morte è forse una liberazione e il dolore è un collante che tiene in vita. Diviso in 5 capitoli è forse meno poetico ed esteticamente vibrante di Fury Road, ma più cupo e sanguinolento. L’odio e la vendetta nutrono il cuore di Furiosa. La morte della madre, in uno dei blocchi più emozionanti e avvincenti, dimostra quanto Miller sia in grado di costruire non soltanto momenti epici di azione, coordinati e coreografati come una danza acrobatica, ma situazioni piene di lacerante umanità. La perdita dell’innocenza di Furiosa sta al centro del film e permette a Miller di addentrarsi, ancora una volta, ctoniamente, dentro l’oscurità e gli abissi di un’esistenza senza più legge, dio, speranza. Il colore ocra avvolge come un sudario i corpi corrosi e deteriorati dei protagonisti; al viola e al blu di Fury Road si preferisce un impasto grumoso di terra e vento che lambisce il paesaggio rendendolo ancora più spettrale. Furiosa è un racconto di formazione ferroso e metallico, è un apologo ecologista e grandguignolesco sulla sopravvivenza, il fanatismo, la ribellione: monito sullo sperpero delle risorse in un mondo sempre più inquinato, depredato e deforestato. Anya Taylor-Joy presta il suo corpo sottilissimo e il suo volto misterioso ad un personaggio complesso, che deve farsi ombra in un mondo ostile e maschile, strisciare e rendersi invisibile. L’iconologia milleriana vede nella pesca e nel seme il simbolo della salvezza e della conoscenza. Furiosa bambina, novella Eva, si spinge lontano da casa (il suo paradiso terrestre), disubbidendo, per afferrare il frutto proibito. Pur in mezzo alla putrescenza, la vita germoglia. Una piantina cresce in solitudine sulle estremità di un crepaccio roccioso. La vita si connette alla vita, in un abbraccio che lega ciclo vegetale ed esistenza (sub)umana.