Documentario, Sala

FUORISTRADA

NazioneItalia
Anno Produzione2013
Durata70’
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Il meccanico romano Pino racconta la scoperta della transessualità, la trasformazione in Beatrice, la nascita di una nuova famiglia.

RECENSIONI


La libertà è un problema di genere. Giuseppe detto Pino, operaio di periferia, deraglia fuoristrada rispetto alla società degli uomini e alla comune spartizione sessuale. Cambia sesso come Tiresia, ma la sua non è una punizione bensì una catarsi: al pari della jeep che prova a “scavalcare” una crepa, e infine vi riesce, così lui aggira gradualmente lo spazio vuoto del pregiudizio e lo riempie col nuovo sé stesso. Asseconda il cromosoma Y e sceglie la Donna per antonomasia, quella Beatrice dantesca che può sembrare un ossimoro ma in realtà è esplorazione provocatoria di una possibilità estrema: l’uomo può diventare qualunque donna, anche la “prima”. Sul filo dell’alternativa alla convenzione di genere, come La bocca del lupo di Pietro Marcello, il piccolo gender movie si forma attraverso un racconto frastagliato che alterna i punti di vista: il triplo binario tocca a turno la prospettiva prioritaria di Pino/Beatrice, la sua donna e il figlio acquisito. Con altri due sguardi che si affacciano in filigrana: la figlia “perduta” come voce fuori campo, traduzione stilistica della sua lontananza (la si può solo ascoltare), e la figura inaspettata della nonna, appassita ma illuminata, traccia di una senilità saggia che ha introiettato il cambiamento e persino razionalizzato con ironia (“Ora non può avere i baffi”).


La storia ospita più voci, ma è sempre imperniata sul protagonista in forma di videobiografia personale, a testa alta, esplicitando un racconto di formazione dell’Io, frequentando la propria vicenda nei tratti felici e nei nodi dolenti. Ne emerge la riproduzione di una realtà dove il ruolo famigliare tradizionale ha ormai dirazzato, preparando una terra di mezzo sentimentale che propone un’altra ipotesi: i figli non sono veri figli, i padri non sono veri padri (sono falsi padri o possibili madri), l’unione supera la natura. Eppure in Fuoristrada è liquida solo l’apparenza, perché l’identità rimane ferma e inconfutabile: Beatrice che si mostra nel nuovo corpo come Elin e Agnes che escono dal bagno di Fucking Amal, ovvero firmando una radicale dichiarazione di essenza. Pino è Beatrice e basta, ciò che siamo prescinde dal sesso. La regista esordiente Elisa Amoruso lascia parlare il protagonista, fin troppo, e coniuga la questione primaria all’esercizio di una romanità evidentemente enfatizzata: così solleva lo stesso dubbio di Sacro Gra, la stessa estorsione di benevolenza con il dialetto (impossibile non accordare empatia a Pino/Beatrice, empatia per questo sospetta), senza badare al rigore ma toccando le corde ridondanti del sentimentalismo. Quanto al resto, l’autrice si limita alla registrazione frontale di una situazione, seppure rivoluzionaria, derogando a un’idea peculiare di regia che riesca a “dare senso”. La soluzione al middlesex è ritenuta significante in sé, basta la sua esposizione: a tratti trova una problematicità intrinseca nel percorso (per esempio, il dislocante confronto tra i filmini di Pino e Beatrice oggi), a tratti resta un fatto di cronaca non supportato dalla messa in rappresentazione.