TRAMA
Decisa a fare il possibile per crescere i suoi due figli in campagna, Julie lavora nel frattempo in un lussuoso albergo parigino. Quando ottiene finalmente un colloquio per un lavoro nel quale aveva da tempo riposto le proprie speranze, scoppia uno sciopero nazionale che paralizza il sistema dei trasporti pubblici. Il precario equilibrio che la donna ha costruito è messo a repentaglio. Julie ingaggia quindi una corsa frenetica contro il tempo, rischiando di vacillare.
RECENSIONI
Julie vive costantemente sul filo del rasoio: cresce da sola due figli piccoli, abita in campagna e lavora in un prestigioso albergo a Parigi in attesa di un lavoro migliore, per cui si sta dando da fare. Ogni giorno è un faticoso incrocio di treni, autobus, figli da andare a prendere e portare a scuola, impegni da ricordare, commissioni da sbrigare. A dare il colpo di grazia a un ménage che non accetta imprevisti ci si mette lo sciopero dei mezzi di trasporto. Tra l’altro proprio nel momento in cui un colloquio di lavoro potrebbe cambiarle per sempre la vita realizzando i suoi sogni di carriera. Il film è per la protagonista, anche un po’ per noi che non possiamo evitare di lasciarci contagiare dalla sua ansia, una lotta continua contro il tempo per arrivare indenne a sera. Visto muto e fuori contesto potrebbe sembrare un thriller, con una donna braccata e in fuga. A tallonare la protagonista non sono però terroristi o spie, ma il quotidiano, con le sue tappe obbligate che il più delle volte non ammettono deroghe. Per dare sostanza alla sua visione il regista Eric Gravel pedina la protagonista standole costantemente addosso, spesso con macchina da presa a mano, imponendo al racconto un ritmo concitato e una tensione costante.
La sceneggiatura scava nel personaggio di una donna in difficoltà non trasformandola però in un’eroina a senso unico, ma regalandole sfumature anche respingenti. Julie, ad esempio, non ci pensa un attimo a mettere in difficoltà una nuova collega e il suo licenziamento non le procura alcun senso di colpa, così come, non trovando alternative, continua a disturbare quotidianamente la vicina di casa anziana coinvolgendola controvoglia nella gestione dei figli. Non ci sono tesi da esporre, spiegazioni, carinerie acchiappa consensi, nemmeno possibili soluzioni, solo la messa in scena di un disagio. È un cinema politico perché insinua il dubbio evitando di fornire risposte ma suscitando interrogativi e immergendo completamente nel qui e ora. Ed è proprio in questo non puntare il dito che il film trova la sua forza perché diventa specchio di una contemporaneità in cui è inevitabile ritrovarsi. L’erosione della classe media, l’assenza di un welfare funzionante, la mancanza di solidarietà e la profonda solitudine nell’eccesso di comunicazione, diventano considerazioni a cui giungiamo da soli, senza il bisogno di didascalie e sottolineature. La regia di Éric Gravel è molto originale nel rivestire di action il cinema d’impegno e sia lui che la bravissima Laure Calamy, incarnazione perfetta della donna comune impantanata nel vortice degli eventi, sono stati premiati al festival di Venezia 2021, dove il film è stato presentato in concorso nella sezione “Orizzonti”.
