FUGITIVE PIECES

Anno Produzione2007

TRAMA

Jakob Beer, ebreo polacco, da bambino è miracolosamente scampato alle persecuzioni dei nazisti grazie all’aiuto di un archeologo greco; adesso è uno scrittore affermato, ha una moglie favolosa ma deve convivere con gli spettri resistenti dell’orribile passato.

RECENSIONI

L’Olocausto è una tragedia

Parte esteticamente in quarta il film di Jeremy Podeswa, già apprezzato autore de I Cinque sensi: una sequenza sgranata e indefinita, che evita appigli temporali e racconta solo di una creatura in fuga nel bosco, lercia e intirizzita, inseguita dagli orrori della Storia. Praticamente incredibile. Soprattutto per quello che succederà dopo: trasposizione del romanzo In fuga di Anne Michaels (Giunti Editore), Fugitive Pieces, detto in tutta franchezza, è una delle variazioni sull’Olocausto più banali e convenzionali a memoria d’uomo. I ricordi alternati e l’altalena presente/passato, leit motiv del film, costringono i personaggi a raccontare letteralmente ogni loro sensazione, a spiegarsi reciprocamente le singole scintille sentimentali e a parlare disinvoltamente della propria interiorità (nessuno escluso) come se questo accadesse davvero nella realtà. Ma il peggio, come in uno scherzo trash, è che tutti piangono sempre. Poste tali doverose e disastrose premesse, preme sottolineare che la scena iniziale è da appuntarsi come la migliore: subito dopo infatti la regia tenta perfino la rappresentazione calligrafica, ovvero una “bella scrittura”, cercando la particolarità, scansando l’insieme e focalizzando su dettagli precisi con il solo effetto – se vogliamo trovarne uno – di seminare il ridicolo a piene mani e trascinarlo senza sosta ai titoli di coda. Il film paga cara la deriva estetizzante: la cinepresa punta ora sulle nervature di un’arancia, alla faccia della natura morta, ora su un incontro erotico scandito da improbabili sniffate di profumo femminile. Fino al picco dell’indecoroso: la scomparsa di Jakob e della seconda moglie, che schiattano simultaneamente sotto un camion, a segnalare l’inevitabile ciclicità del dolore e suggerire che la prossima volta, magari, sarebbe meglio attraversare sulle strisce.
E’ curioso che il film abbia ottenuto parecchi applausi e sia stato indicato come toccante omaggio alla memoria. Ma quando mai… Invece proprio questi prodotti, a ben guardare, rendono il servizio peggiore alla materia in esame: quando è particolarmente scabrosa e delicata, poi, aumenta anche l’umiliazione a cui viene sottoposta a più riprese. Se il “tema importante” è un classico, stavolta le vere novità sono la consapevole sciattezza e il palese disinteresse del regista; il quale gira una trappola per mietere consensi, che riesce nel cimento ma allunga dubbi pesanti su qualità e obiettivi generali della kermesse.