Animazione, Sala

FROZEN (2013)

Titolo OriginaleFrozen
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2013
Durata100'
Tratto dada "La regina delle nevi" di Hans Christian Andersen

TRAMA

La principessa Elsa ha fin da bambina il potere di creare ghiaccio e gelo, ma è assolutamente incapace di controllarlo. Questo la costringe ad allontanarsi dalla sorella minore, per evitare di farle del male. Fino al giorno dell’incoronazione pubblica di Elsa, in cui il segreto si svela nel modo più dirompente.

RECENSIONI

La trama di Frozen ha davvero poco in comune con la favola La regina delle nevi di Andersen, in cui un bambino ed una bambina amici per la pelle vengono separati dalle circostanze e si ritrovano solo in seguito ad un avventuroso viaggio fantastico. Niente sorelle, niente poteri ingombranti che costringono a soffocare i propri istinti. Non soltanto lo svolgimento è estremamente differente, ma anche se si pensa ad un eventuale "senso della storia" ci si trova molto lontani dall'originale. Il vetro maledetto che aveva ghiacciato il cuore e reso insensibile ed immemore il bambino protagonista della fiaba di Andersen qui è un raggio di ghiaccio che gela materialmente la vittima rischiando di farla morire, senza alcuna metafora accessoria.

La grande sfida vinta della pellicola, che la Disney a quanto pare aveva in progetto da decenni, è la messa in scena credibile e spettacolare di un mondo di neve e ghiaccio. Il che è effettivamente bello a vedersi, ma non adeguatamente supportato da una storia coerente ed appassionante. La trama del film è invece fragilina, gli snodi non sempre avvincenti - nonostante un colpo di scena non prevedibile - i personaggi di medio interesse. Tra questi primeggia la sorella minore Anna, che per quanto buona a tutto tondo è almeno goffa, impulsiva e divertente quanto basta per farne una protagonista dignitosa. Meno approfondita la sorella maggiore, chiusa nell'isolamento del suo dono-maledizione. Ma il rapporto tra le due sorelle, prima molto vicine, poi divise dalle circostanze e che infine si ritrovano per la caparbietà della minore, è l'asse su cui regge emotivamente la pellicola, prima ancora che sulla consueta storia d'amore.

Sul piano della comicità, si sorride senza ridere mai veramente. Il pupazzo di neve Olaf, che per assurdo desidera il caldo come il pinguino del vecchio film Disney I tre caballeros (1944), è il personaggio più a vantaggio dei bambini, con la sua comicità fisica ed elementare. Ma né lui né la renna strappano risate come il cavallo ed il camaleonte di Rapunzel, gioiello Disney con il quale il confronto appare più immediato, con bilancio tutto in passivo per Frozen.

Frozen è un Disney di medio livello, sempre piacevole e curato ma di certo non indispensabile. La sua trama, i suoi personaggi, le sue gag, mostrano la differenza tra le opere "ordinarie" come questa e quelle illuminate da un'ispirazione ed una verve particolare (Rapunzel, appunto, senza arrivare ai capolavori Pixar come Wall-e, Up e Toy story 3).

Una piccola "rivoluzione" però c'è e sta nella demolizione del mito dell'amore a prima vista, presente in quasi tutti i film Disney da Biancaneve in poi. Con la leggera tentazione di ridimensionare l'assioma bello=buono, oltre che nobiltà di nascita=nobiltà d'animo. Era già successo che il principe azzurro di turno non fosse affatto di sangue blu (almeno negli ultimi decenni, in origine era requisito quasi irrinunciabile), ma raramente era meno avvenente del proprio diretto rivale (la Bestia fa solo parziale eccezione, sotto l'incantesimo resta il solito bellone). Questi elementi rendono l'idillio raccontato in Frozen tra i meno banali in assoluto, anche perché vedono maturare sentimentalmente la ragazza coinvolta, per quanto concedano i tempi del film e la sua sceneggiatura piuttosto action.

Colonna sonora senza grande personalità, che non resta nelle orecchie nemmeno a ridosso dell'uscita dalla sala.

Il CGI applicato alla “vecchia scuola” Disney funziona a meraviglia: fondali che riempiono gli occhi (con accurati studi tecnici su luce e paesaggi della Norvegia), software impressionanti per simulazione della neve, ottima disposizione spaziale di campi lunghi, curate architetture e costumi, movimenti di macchina sorprendenti (di cui beneficia il 3D), affascinanti figure fantastiche e caratteri espressivi. Che la fiaba di Hans Christian Andersen sia stravolta per sottrarre toni cupi e ottenere lieti fini non deve stupire, basti pensare a La Sirenetta e, più in generale, ad una filosofia della casa che il nuovo “direttore creativo” John Lasseter vuole recuperare (vedi Rapunzel, da cui riprende la tecnica d’animazione). A non funzionare, nell’economia generale più che discreta, sono due elementi minimi ma invadenti: le canzoni mal distribuite (notevole “Let it go”, non irresistibili le altre, compreso il siparietto surreale con Olaf che cita Mary Poppins), che occupano pesantemente la sola prima parte per 24 minuti totali; la sceneggiatura alla smaccata ricerca di espedienti coinvolgenti, ammiccante ed artificiosa fino a spezzare l’incanto: firmata dell’esordiente alla regia Jennifer Lee, prima regista disneyana della storia (il co-regista Chris Buck è il “mago” che si è occupato dell’animazione), è anche poco accorta, si veda il colpo di scena con voltafaccia del principe Hans, fin lì fidanzato perfetto poi calcolatore malvagio, cartina di tornasole di varie incoerenze di comodo (più agevole dipingerlo come una serpe all’improvviso, anziché rendere coerente l’amore opportunistico). Sempre Hans, ad un certo punto, per prendere il potere deve sbarazzarsi della principessa: proibito ucciderla, meglio dichiarare che è morta lasciandole vie di fuga, denudando le crepe nel ghiaccio di meccanismi ricattatori e del politically correct. Menzione per il personaggio di Anna, ricalcato su decine di peperini imbranati e adorabili della Hollywood classica, e per il pupazzo di neve Olaf, che merita un posto nell’empireo disneyano dei caratteri buffi. Successo immane.