TRAMA
Ossessionato dalla religione, Abe, adepto di una Chiesa Pentecostale, cerca di salvare con la preghiera il giovane Benny Jr., affetto da una grave forma di autismo.
RECENSIONI
Che fare quando si è una madre single, a Memphis, con una figlia piccola e un figlio che soffre di autismo? Quando i servizi sociali minacciano di rinchiudere il piccolo Benny Jr. in un istituto per bambini problematici, Melva trova conforto nella Chiesa locale, a forte maggioranza afro-americana. Qui si canta, si prega e si fanno strani riti attraverso l’imposizione delle mani. In chiesa, Melva incontra Abe, bidello in una scuola di giorno e pastore-guaritore di notte.
Abe emerge dalle tenebre di un passato oscuro per incarnare una visione totalizzante della religione cristiana, che lo porta a interpretare ogni evento come il segno lasciato per noi da una potenza trascendente. Per l’illuminato della Chiesa Pentecostale, il mondo è infatti un posto dove Dio ha lasciato delle tracce, che pochi eletti possono interpretare. Delusa dalla medicina tradizionale e soffocata da un isolamento che non le lascia scampo, Melva progressivamente scivola. Permette che la malattia di Benny sia trattata come una sorta di possessione demoniaca, di lontananza da Dio che va colmata con la preghiera e prolungati trattamenti che lasciano il bambino esausto e semi-incosciente.
Vincitore della sezione Orizzonti, Free in deed, terzo lungometraggio di Jake Mahaffy, è un esempio di realismo sociale contemporaneo, tanto potente nella descrizione antropologica quanto controllato nella forma. Mahaffy fotografa la realtà occlusiva di una storefront church, una chiesa di fortuna, ricavata in un luogo a precedente destinazione commerciale – un fenomeno urbano ancora diffuso negli Stati Uniti e tipico dei quartieri a maggioranza afro-americana e latina. Nel suo stile asciutto e rigoroso, il film parte da un fatto di cronaca e si occupa di questo mondo. Lo fa senza nascondere la compassione per il dramma di Melva e dei suoi bambini. Ma anche senza facili ironie, lasciando allo spettatore, se vuole, il tempo di esprimere un giudizio.
La piccola chiesa, quasi un capannone, diventa un universo di riferimento scisso dal mondo circostante, tanto che lingresso dei poliziotti, bianchi, alla fine del film, è vissuto come un trauma o come la rottura di un incantesimo. La dicotomia fra scienza e religione, fra fatti e interpretazioni, si fa palpabile nel confronto fra Abe e lispettore. Qui, nel silenzio dei canti, ogni anelito soprannaturale sembra improvvisamente spazzato via. Ma anche nel finale, nel trattare una vicenda così delicata, Mahaffy si tiene lontano da ogni tentazione sensazionalistica, con il dramma del piccolo Benny che si consuma in silenzio, restando quasi impercettibile.
Ledificio che ospita la chiesa è un parallelepipedo basso, esteso in orizzontale e coperto da un cielo plumbeo. I personaggi sono schiacciati in inquadrature ravvicinate e asfittiche. La disperazione di Melva rende sempre più evidente linadeguatezza del contesto rispetto alla misteriosa malattia di Benny. Attraverso la storia dolorosa di una famiglia, Mahaffy tratteggia un quadro efficace dellisolamento assoluto, senza scampo dellindividuo nella città contemporanea. Un isolamento che si rivela distruttivo per le fasce economicamente più deboli e per una working-class schiacciata dal precariato. Tanto che, nella desolazione circostante, rivolgersi alla Chiesa locale un luogo di culto ricavato in un negozio in disfacimento diventa, quasi necessariamente, lunica soluzione accessibile.
