
TRAMA
I fratelli Tenor gestiscono una tavola calda in un paesino del Massachusetts: Walter sogna di fare l’attore, Bob non osa confessare a una ragazza conosciuta via Internet di avere un gemello congiunto.
RECENSIONI
You Must Count on Me
Naturalmente, un doppio senso: STUCK ON YOU fonde in modo indissolubile il blocco psicofisico e la devozione inesausta, doppia coppia irrinunciabile nel complesso e perfettamente oliato ménage dei fratelli Tenor, opposti nell’aspetto e nel carattere, assimilati da un affetto che saprà dimostrarsi origine, non conseguenza, del fegato in comune. Se la convivenza forzata è turbolenta, la lontananza si rivela insopportabile e impone un ritorno al primigenio (dis?)ordine. Una premessa non proprio originale ma potenzialmente interessante (anche oltre eventuali echi autobiografici) che i Farrelly non affrontano fino in fondo, da nessun punto di vista: nell’eclissi totale del versante dark – à la Cronenberg – del rapporto gemellare, sullo schermo appare una farsetta zoppicante e fin troppo educata, cui non bastano alcune annotazioni blandamente velenose sul mondo televisivo (lo show di Cher, sporco riciclaggio di “Moonlighting”) e qualche strizzata d’occhio a buon mercato (le ragazze dei protagonisti si chiamano April e May) per schivare un melenso retrogusto à la FORREST GUMP (le grevi note a margine sull’identità dei veri freak). Tutto il peso del film riposa sulle spalle larghe (cfr. le partite di hockey) di Damon e Kinnear, che trionfano di una regia piatta e di un copione non di rado inqualificabile: i movimenti impacciati e millimetrici e gli sguardi complici e allibiti sono degni delle massime coppie (tragi)comiche di celluloide. L’eccellenza degli interpreti principali potrebbe indurre, per un momento, a rivalutare le doti registiche – almeno per quanto riguarda la direzione d’attori – dei Farrelly, ma basta uno sguardo all’avvilente naufragio del clamoroso cast di contorno (Meryl Streep e Griffin Dunne as themselves, Seymour Cassel agente rimbambito ma non troppo) ad abbattere ogni possibile indulgenza.

Pochi se ne sono accorti, ma i fratelli Farrelly stanno portando avanti uno dei cinema più originali e coraggiosi e/ma all’insegna di Hollywood, unici cantori della diversità (anche) di ritardati e portatori di handicap. In questo racconto da Azione Mutante, di “ariani” ce ne sono pochi: le fidanzate sono una cinese e l’altra messicana, i chirurghi in ospedale sono neri, sui titoli di coda c’è una canzone country interpretata da una (vera) gemella siamese. Riescono miracolosamente a prendere le mosse da un’idea assurda (che elabora le tracce da commedia di un episodio di I Racconti della Cripta, “Il custode di mio fratello”), veramente demenziale, per costruirci sopra una commedia che è tutt’altro, cioè sentimentale, facendo leva sulla “poetica del mostro”, con due caratteri che (soprattutto quello di Walt) trasformano la diversità in dote vincente (soprattutto sportiva, un pallino dei Farrelly). A differenza di Amore a Prima Svista, film “di svolta” dove la ferocia poco politically correct ha lasciato il passo alla commedia più edificante, trovano una formula con generosità di invenzioni ed equilibrio dei registri che unisce il loro cinema degli esordi, popolato da amabili alieni idioti, freaks pestiferi e situazioni imbarazzanti/trash, a una nuova vena colma di pathos, per un canto all’amore fraterno autobiografico che attraversa tutta la loro filmografia. Sorprendente (e a sorpresa) la versione musical finale di Gangster Story (coreografata da Adam Shankman) e la prova dei due attori protagonisti (non è facile recitare cosi “vicini”).
